Dove non arriva la magistratura, ci pensano comitati e no-tutto a fermare la politica. Non piombano le inchieste? Nessun problema: scattano pressioni territoriali per fare da argine agli amministratori. E così capita che Pietro Bitetti si dimette da sindaco di Taranto dopo neanche due mesi dalla vittoria alle elezioni. Stefano Esposito – ex deputato e senatore del Partito democratico, vittima di un’inchiesta da incubo – sospetta che ci sia una regia dietro le violenze dei teppisti che, da Nord a Sud, vogliono bloccare il progresso. Sventolando la bandiera palestinese.
Bitetti lascia per «inagibilità politica». È un nuovo reato?
«Siamo di fronte a un sistema politico che seleziona la propria classe dirigente sull’onda di una logica social-movimentista. E non dimentichiamo che c’è differenza tra l’opposizione, la campagna elettorale e quando poi ti trovi a dover governare. Il governo è una cosa seria: devi confrontarti con la realtà, e la realtà è dura. Poi c’è un secondo dato».
Quale?
«Il sindaco di Taranto da un lato si sarà spaventato per il carico di responsabilità e delle scelte che doveva fare, e dall’altro quelli che erano stati con lui in quel momento a fare una battaglia lo hanno immediatamente catalogato come nemico. La logica italiana dell’amico-nemico, invece che avversario politico, produce questo effetto. Poi magari qualcuno gli avrà anche consigliato di scegliere un elemento di rottura…».
Su X ha scritto che la violenza politica «è un cancro da estirpare». Ma non è troppo tardi per fermare la metastasi, o siamo ancora in tempo?
«Non sono ottimista. Anche perché io ho condotto una battaglia, che alla fine ho perso. Non mi è andata benissimo…».
E sabato c’è stato l’assalto dei no-Tav in Val Susa…
«Questo succede quando allevi da una parte una classe politica che non ha esperienza – selezionandola sui like piuttosto che sul percorso personale – e dall’altra i movimenti ribelli. Se parli con gli ambientalisti, o presunti tali, saranno tutti antifascisti. Peccato che poi la loro pratica assomigli un po’ a quei metodi contro cui teoricamente lottano. Quella di sabato è stata un’azione militare pianificata».
Addirittura?
«Sì, dietro c’è una regia. Un’azione militare richiede conoscenza del terreno, conoscenza dei luoghi, un’organizzazione puntuale. E prevede anche le “armi di offesa”. Non è che, ad esempio, i bagni degli operai hanno preso fuoco spontaneamente. Uno che va in piazza con pietre, scudi e bastoni, che intendimenti ha? Certamente non vuole fare una manifestazione pacifica e rispettosa della democrazia. Ha intenzioni violente, ma forse non per la magistratura…».
I no-tutto si compattano sotto un unico cappello: la bandiera palestinese…
«Dal 7 ottobre 2023 non ho visto una significativa manifestazione di massa contro Hamas. L’esposizione della bandiera palestinese è diventata un po’ la coperta di Linus, che unifica i movimenti “contro”. In certe piazze è stata addirittura sdoganata l’idea che Hamas sia un movimento politico che fa resistenza. Questi ragazzi in prima fila non studiano, e i grandi vecchi che stanno dietro di loro non hanno nessuna intenzione né interesse a farli studiare, a fargli conoscere la verità storica».
