Il cortocircuito
Il suicidio assistito del Pd a Milano, tutto per avere il consenso della piazza antagonista di professione e pacifista per vanvera
In principio fu l’inchiesta sulla rigenerazione urbana. Il nuovo tentativo della magistratura di dettare agenda e regole della politica milanese e dello sviluppo della città. Un pezzo di maggioranza seguì, quasi applaudì, rapito del fascino perverso del giustizialismo manettaro e dall’incubo della decrescita felice.
Poi fu la volta della vendita dello stadio di San Siro, dove quegli stessi si dimostrarono felicemente disposti a bloccare un progetto- perfettibile, ma fattibile – di modernità, senza avere neppure l’ombra di un’alternativa che non fosse un pastrocchio di idee confuse, tra il populismo ideologico e l’ambientalismo talebano. Infine la richiesta di rompere il gemellaggio con Tel Aviv, la città più laica, accogliente, innovativa, moderna e secolarizzata del Medio Oriente.
Con sempre loro, a trasformare il consiglio comunale in una piazza sbraitante, con tanto di travestimenti di scena, bandiere e follie come l’idea di rendere Milano amica non del popolo palestinese, ma di Hamas che lo tiene soggiogato. Preferendo tutto ciò al legame storico, culturale, civile con lo Stato d’Israele.
Ci sarebbe da pensare che si stia parlando di un’opposizione cieca, brutale e antistorica, di un barbaro sabotaggio politico della storia e del ruolo orgoglioso di Milano. Invece stiamo parlando di un pezzo della maggioranza che la governa, perfino di un pezzo con ruolo istituzionale di primo piano di quel Partito Democratico che nella nostra città dovrebbe esprimere presente e futuro del riformismo.
Tutto per avere il seguito di qualche piazza antagonista di professione e pacifista per vanvera.
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