La riduzione dei parlamentari in Italia non ha prodotto alcun risparmio. Si prevedevano 500 milioni di euro in meno a legislatura, ma i dati smentiscono le aspettative, sia per i conti della Camera, sia per quelli del Senato, le spese complessive sono rimaste stabili attorno a 1,23–1,27 miliardi l’anno. Il taglio delle poltrone è stato rapidamente riassorbito da altre voci di bilancio: ristorazione, personale, commissioni e trasporti.
Si registrano addirittura leggeri aumenti di spesa per entrambi i bilanci. Al Senato i servizi di ristorazione costavano 1,9 milioni di euro con 315 senatori, sono saliti a 2 milioni di euro per i “soli” 200 senatori rimasti. Alla buvette della Camera dei deputati da settembre si è verificata la battaglia del gelato, conclusasi solo il mese scorso, autorizzando il consumo delle coppette anche nel Transatlantico. Un vero successo per gli onorevoli degustatori. Secondo la testata Open, al Senato “per canoni di locazione, utenze e corrispondenza si spendevano 4,78 milioni di euro e ora con meno eletti si spendono 5,32 milioni di euro. Stessa cosa per i servizi di mobilità (treni e aerei): si spendevano per 315 senatori 6,26 milioni di euro. Oggi si spendono per 200 senatori 6,84 milioni di euro. Perfino per la cancelleria c’è stato un aumento: tre anni fa si spendevano 150 mila euro, ora si spendono 180 mila euro”.
Se le spese non si comprimono, il calo dei parlamentari (da quasi mille, ne sono rimasti 600, 200 al Senato, 400 alla Camera) sta assicurando a tutti la fine della schiera dei “peones”. Ormai, come avrebbe detto Carlo V di Spagna, “todos caballeros”. Tutti elevati a una dignità da esibire, vuoi per il funzionamento dell’assemblea, vuoi per le attività dei gruppi parlamentari e per le innumerevoli commissioni istituite e istituende. Il taglio dei parlamentari non ha suggerito una diminuzione delle commissioni permanenti, che sono rimaste 14 alla Camera, e 10 al Senato, per poter presidiare tutto lo scibile legislativo (dal lavoro al bilancio, dall’agricoltura alle attività produttive, dalla difesa agli esteri), peccato che non si arrivi quasi mai a una legge di iniziativa parlamentare.
La produttività è un problema nazionale. Si fa un gran lavoro (forse), ma il valore aggiunto è sempre basso. In questa legislatura – un bilancio è stato stilato a marzo 2025, a metà mandato – su 192 leggi approvate solo 47 sono di iniziativa parlamentare. A tutto il resto pensa il Governo. Eppure, le commissioni non bastano mai. Alle 24 “permanenti” i due rami del Parlamento aggiungono una pletora di altre commissioni “ad hoc”: da quella per l’infanzia a quella per gli accordi di Schengen. E poi ci sono quelle “bicamerali”, in cui i rappresentanti del Senato si aggiungono a quelli della Camera, come l’Antimafia o quella di controllo per gli Enti previdenziali. Infine ci sono le commissioni di inchiesta, come quella sul “degrado delle periferie”.
Una domanda, a questo punto, “sorge spontanea”, come avrebbe detto Antonio Lubrano a “Mi manda RaiTre”: ma perché non ci vanno i parlamentari commissari a fare direttamente una ricognizione sul territorio? Un viaggio in metro, con rischio di furto, potrebbe essere istruttivo. Ma il suggerimento vale anche per tutti i componenti delle altre commissioni: un giro nei campi, per gli onorevoli della commissione Agricoltura, renderebbe l’idea forse più di qualche audizione; o un turno in fabbrica per quelli delle Attività produttive. Demagogia? Forse sì, ma quella di chi ha voluto la riduzione dei parlamentari che cos’era?
