Il Tar decapita la procura di Napoli: bocciate le nomine degli aggiunti Amato e Di Monte

Le nomine di Simona Di Monte e Sergio Amato a procuratori aggiunti di Napoli sono illegittime perché i due magistrati sono stati designati dal Csm «al netto di qualunque valutazione dei curricula e della necessaria comparazione tra i numerosi candidati». Parole durissime, quelle con cui il Tar del Lazio ha “decapitato” la Procura partenopea retta da Giovanni Melillo. I giudici amministrativi si sono pronunciati sui ricorsi presentati dai pm Maria Di Mauro, Claudio Siragusa e Alessandro D’Alessio oltre che da Giuseppe Narducci, oggi in servizio a Perugia e in passato assessore nella giunta comunale di Luigi de Magistris.

Il Tar ha travolto l’intero procedimento che, tra 2018 e 2019, ha portato il Csm a sostituire Filippo Beatrice con Di Monte, esponente della corrente Unicost, e Alfonso D’Avino con Amato, vicino a Piercamillo Davigo e quindi alfiere di Autonomia e Indipendenza. Già, perché i giudici amministrativi contestano il modus operandi del Csm: «La Commissione ha deciso prima il nominativo da proporre, sulla base di inesplicate ragioni, e successivamente ha confezionato la relativa motivazione predisponendo il testo da sottoporre al plenum». In questo modo «il candidato “più idoneo” è stato scelto, in assenza di confronto tra i componenti della Commissione, prima della valutazione comparativa» e quest’ultima «è stata calibrata, a prescindere dal merito effettivo, in modo tale da sorreggere la scelta effettuata a monte».

Nelle sentenze rese dal Tar del Lazio colpiscono alcune espressioni utilizzate dai magistrati. Di Monte e Amato sono stati individuati dalla Commissione «sulla base di inesplicate ragioni» e successivamente nominati dal plenum «a prescindere dal merito effettivo». Qualche maligno potrebbe pensare che la loro designazione sia il frutto di quella sorta di manuale Cencelli che da decenni proietta ai vertici degli uffici giudiziari non i magistrati più bravi, ma quelli che sono spinti dalle correnti. Invece noi non siamo maligni e pensiamo che la prassi delle “nomine a pacchetto”, dettate non tanto dalle competenze del singolo pm o giudice quanto dalla necessità di salvaguardare determinati equilibri politici, faccia male a tutti. E il caso di Di Monte e Amato lo conferma.

Vittime sono senz’altro i quattro magistrati che, sentendosi privati illegittimamente di un incarico al quale aspiravano, hanno impugnato le nomine effettuate dal Csm. Vittime di questo sistema perverso sono paradossalmente anche gli stessi Di Monte e Amato che, pur essendo magistrati di valore, risultano ora delegittimati da una vicenda destinata ad avere uno strascico giudiziario molto lungo. Soprattutto, però, a pagare il prezzo più alto è la credibilità della magistratura e del sistema giustizia. È accettabile, in uno Stato di diritto, che qualsiasi nomina ai vertici di un ufficio pubblico venga effettuato «sulla base di inesplicate ragioni» e «a prescindere dal merito effettivo»?

E queste “ombre” sono o non sono ancor meno tollerabili in un contesto sociale ed economico particolarmente problematico come quello di Napoli che, come tale, richiederebbe una giustizia credibile ed efficiente? Ecco perché non si possono più rinviare le riforme, a cominciare da quella dei criteri con cui vengono nominati pm e giudici. In gioco non ci sono solo le legittime aspirazioni professionali dei singoli, ma anche la tenuta della democrazia.