«La storia deve essere riscritta», afferma Luca Palamara appena uno dei suoi legali, l’avvocato romano Benedetto Marzocchi Buratti, è uscito dall’ingresso di via Vittorio Bachelet dopo aver depositato, nell’ultimo giorno utile, la maxi lista testi in vista del disciplinare. Palamara ha lavorato tutto il weekend con il consigliere di Cassazione Stefano Guizzi, che lo assisterà nel processo disciplinare, alla redazione della lista. La prima udienza è in calendario per il 21 luglio. Il “dream team” di Palamara fa tremare i polsi. Fonti del Csm che in questi anni ne hanno viste di tutti i colori dicono che “ci vuole coraggio” nel presentare una lista del genere. Non manca nessuno. Ci sono innanzitutto i magistrati Paolo Ielo, Francesco Lo Voi, Piercamillo Davigo, Sebastiano Ardita, Gaspare Sturzo, Riccardo Fuzio, Cafiero de Raho, Eugenio Albamonte, Guido Lo Forte. È il segno che Palamara ha indossato l’elmetto e non ha alcuna intenzione di passare alla storia come la mela marcia che paga per tutti.

«Il sistema delle correnti non l’ho inventato io», ha ripetuto sempre in questi mesi l’ex presidente dell’Anm al quale il ruolo di capro espiatorio non va proprio giù. Palamara ai naviganti delle Procure ha anche mandato messaggi sul fatto che è disposto a far luce su molte delle pagine torbide della storia giudiziaria italiana, come lo scontro ferocissimo fra la magistratura e Silvio Berlusconi andato in scena a partire dal 1994. Già il 21 si capirà il destino di Palamara. Se la sezione disciplinare vorrà tagliare i testi, il segnale è chiaro: chiudere in fretta la pratica, procedere con l’espulsione immediata del magistrato, e quindi continuare con il sistema delle correnti nella spartizione degli incarichi. Se i testi verranno ammessi, ci sarà invece speranza di procedere con una operazione verità su quanto accaduto negli ultimi decenni. Vediamoli allora i testi divisi per i vari capi d’incolpazione preparati dal procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi.

Il primo è il colonnello Gerardo Mastrodomenico del Gico, della guardia di finanza. Dovrà riferire sulle modalità di conduzione delle indagini e sulle ragioni del “perché non spense il trojan” nonostante le indicazioni dei pm di Perugia in caso di incontro di Palamara con parlamentari. Con lui ci sono i marescialli Roberto Dacuto e Gianluca Burattini, coloro che materialmente accendevano e spegnevano il trojan inoculato nel telefono di Palamara e che hanno ascoltato i colloqui del magistrato romano con Cosimo Ferri e Luca Lotti, quest’ultimo imputato a Roma nel processo sugli appalti Consip. A proposito delle indagini Consip è citato l’ex vice presidente del Csm, ora commissario per la ricostruzione in Abruzzo, Giovanni Legnini. Egli dovrà riferire su una sua «conversazione intercettata con l’onorevole Paolo Cirino Pomicino sul conto del pm napoletano Henry John Woodcock». La circostanza non era ancora emersa. Come si ricorderà Woodcock era stato inizialmente il titolare del fascicolo Consip. Anche Giovanni Melillo, procuratore di Napoli, è chiamato a riferire su questa conversazione intercettata. Il magistrato Stefano Erbani, consigliere giuridico di Sergio Mattarella, dovrà riferire sulle procedure di nomina del procuratore di Roma nel 2019. Sull’asserito tentativo di Palamara di screditare l’aggiunto della Capitale Paolo Ielo, sono stati chiamati tutti i procuratori aggiunti di Roma. Sui rapporti fra Palamara e Giuseppe Pignatone, i vertici del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti e l’ex ministro della Difesa Roberta Pinotti.

Lucio Aschettino, magistrato di Md e presidente della Commissione per gli incarichi direttivi nella scorsa consiliatura, dovrà riferire su come sono stati nominati i procuratori aggiunti a Roma durante la gestione Pignatone. Sempre sul “dossieraggio” nei confronti di Ielo, il cui fratello Domenico, avvocato, aveva incarichi da parte del colosso energetico, è stato citato l’ad di Eni Claudio De Scalzi. Non può mancare poi l’ex pm romano Stefano Fava, autore materiale dell’esposto a carico di Pignatone e Ielo. È presente poi Giovanni Bianconi, il giornalista del Corriere della Sera che il 7 maggio 2019, intercettato, comunicò a Palamara che «una parte dell’ufficio (la Procura di Roma, ndr) non voleva Marcello Viola (pg di Firenze e aspirante al posto di Pignatone, ndr) il quale non è colluso».

I testimoni più importanti, infine, sono relativi al sistema delle nomine. Dovranno riferire sul fatto «che esisteva prassi costante di confronto, interlocuzione fra componenti istituzionali, tra cui segretari, referenti locali ed esponenti dei gruppi associativi, componenti laici del Csm e i loro referenti della politica, per individuare il profilo professionale del candidato da sostenere tra coloro che avevano presentato la domanda per il conferimento per un incarico direttivo e non solo». Ecco quindi gli ultimi vice presidenti del Csm, Nicola Mancino, Michele Vietti, Giovanni Legnini, David Ermini,i giudici costituzionali Cesare Mirabelli, Giovanni Maria Flick, gli ex consiglieri del Csm Edmondo Bruti Liberati e Claudio Castelli, l’ex ministero della Giustizia Andrea Orlando, i responsabili giustizia del Pd Anna Finocchiaro, Donatella Ferranti, Massimo Brutti. E poi vari presidenti delle correnti e componenti della giunta Anm. Dulcis in fundo, Antonio Ingroia e lo scrittore e senatore Gianrico Carofiglio.