I mali della magistratura
La differenza tra Palamara e gli altri magistrati? Il trojan
Luca Palamara ha sbagliato. Lo ha ammesso. Ha chiesto scusa. E ha dichiarato che non ha inventato lui il sistema delle correnti da cui è poi derivata la spartizione dei posti più o meno a cassetta, è solo stato in continuità con prassi consolidate – ed è un punto su cui dargli ragione e concedergli molto più che le generiche. Ha cominciato a fare i nomi dei beneficiati e di responsabili al pari suo di accordi di cordata, trattative, marchingegni vari, tutta roba discutibile, su cui torcere il muso, ma non perseguibile penalmente. Ha così realizzato un corto circuito di cui in fondo essergli grati, perché, a saperla cogliere, è un’occasione irripetibile di ripartenza per la barca della Giustizia, con più buchi di una padella per le caldarroste. Tra i più agguerriti, alcuni beneficiati dalla sua abilità di mediazione in un ambiente che asseconda il degrado morale della nazione.
Palamara non appartiene alla folta schiera che ha ricavato avanzamenti. Si è prodigato in grazie e miracoli, ma per sé non ne ha ottenuti: infatti, alla Anm è stato eletto, fino alla carica di Presidente, e al Csm pure, in carriera no, fermo al palo. E tuttavia, annaspa nella palude limacciosa, spinto in profondità da ingrati, farisei, sciacalli, carnefici, e ci aggiungo i cannibali, che tali rimangono anche se per il pranzo umano utilizzano le posate, tutti con le facce più dure dei mostaccioli. Qualcosa tuttavia sta mutando nell’opinione pubblica e in parte della stampa: non si accontentano del capro espiatorio, se altri restano comodi a bordo a riassestare magari gli equilibri interni e le spartizioni. Si puntualizza sempre la correttezza della stragrande maggioranza della magistratura. Il termine “stragrande” mi pare esagerato, visto che per essere etichettati sporchi è bastato aver chiesto un biglietto per la partita della Roma.
Dai, serietà. Siamo italiani, le verginelle indignate tacciano, il sistema delle raccomandazioni ci appartiene, è nel nostro Dna. Sfido chiunque, tranne i pochissimi in aria di santità, da meritarsi già in vita la pratica di beatificazione e una processione almeno annuale, a dimostrare che non è mai ricorso ad amici per un occhio di riguardo in ospedale, una raccomandazione a scuola per il figlio. O un’agevolazione che svantaggiava altri, come emerse, per esempio, nel concorso per uditori giudiziari del 1992, denso di ombre, poi riconosciute in seguito alla contestazione dell’avvocato astigiano Pierpaolo Berardi. La verità è che la differenza tra Palamara e quelli delle altre correnti è il trojan. Lo avessero appiccicato anche a loro, avremmo ottenuto una dilatazione esponenziale, Palamara moltiplicato per il numero dei suoi colleghi – e invece fioccano le denunce, le minacce di querele. Lo mettessero a spiarci tutti, esploderebbe una guerra civile, nell’intimità ne diciamo di cazzate.
Uno strumento terribile e diabolico, il trojan. Sconvolge le esistenze, uccide la dignità, trancia il diritto e la democrazia, accorcia il respiro alla libertà. Sa di regime. E troppo risente della discrezionalità di chi lo dispone. Con Palamara pare sia stato giustificato con l’ipotesi di corruzione, i 40 mila euro poi scomparsi dalle accuse, da far insorgere il dubbio che sia stata la botta del mastro, per poterlo cuocere nel pentolone. Se così, che gran figli di trojan! Questo, mentre un’avanguardia dei Pm progredisce, in carriera e in claque osannante, sulla mera apparenza, sui microfoni, sulle ribalte nazionali, spacciando un’efficienza che, alla prova dei processi, si squaglia più che la neve di maggio in bassa collina. È di martedì il risultato del processo di primo grado della decantata operazione Mandamento jonico: 66 condanne e 103 assoluzioni, con una percentuale di innocenti del 61%. Siccome è un evento che si aggiunge a quasi tutti i grandi blitz celebrati dalle cronache televisive e dai giornali, si fa più concreta l’idea che le esagerazioni rendono e non poco, con buona pace di chi incappa nella malagiustizia e con buona pace della Calabria dipinta a tinte molto più fosche di quelle che merita, Easy Jet insegna. Del resto, non può più essere un caso che da un bel po’ di anni si decolli dalla Procura Dda di Reggio per raggiungere i traguardi più prestigiosi e ambiti, pure a essere ballerine di fila.
In più, a ogni operazione di polizia, corrisponde il teatrino indecoroso della spettacolarizzazione, in uscita dalla Questura: avanti uno, in manette e scortato da due poliziotti, immortalato nel percorso fino alla volante che lo tradurrà in carcere, e via libera per la sfilata del secondo, con la stessa scena, e così di seguito, con un manovratore del traffico manettaro che scandisce i ritmi della teatralità e alla fine organizza il carosello delle volanti strombazzanti in processione. Tutto in contrasto con l’articolo 114, comma 6 bis, del Codice di Procedura Penale: «È vietata la pubblicazione dell’immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all’uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica, salvo che la persona vi consenta». Sono quindi illegali! Ma non succederà niente, mica vero che la legge è uguale per tutti. Occorre un’inversione di tendenza, drastica e subito. Altrimenti toccherà far propria la frase di una pubblicità antica: «Fermate il mondo, voglio scendere».
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