Le confessioni televisive di Palamara sulle disfunzioni generate dal c.d “correntismo” e la lettura delle intercettazioni che ne documentano la diffusione non dicono nulla che le ricerche sul Csm non conoscessero da più di 40 anni. Peraltro già all’inizio di questo secolo, e ricorrentemente nel corso del suo lungo mandato, il Presidente Napolitano aveva condannato pubblicamente e con parole durissime, quel fenomeno, anche per i suoi collegamenti con la politica, sollecitandone l’abbandono. Nei suoi discorsi in Consiglio ha, infatti, definito le modalità decisorie del Csm come «malsani bilanciamenti tra le correnti» e frutto di «pratiche spartitorie rispondenti a interessi lobbistici, logiche trasversali, rapporti amicali o simpatie e collegamenti politici». Il fenomeno dell’influenza delle correnti sui processi decisori del Csm è stato, peraltro, ripetutamente e duramente criticato dalle stesse correnti della magistratura. È quindi una condanna unanime del fenomeno cui non si è dato rimedio anche perché manca la volontà di individuarne le principali cause e di adottare soluzioni efficaci.

Varie sono le ragioni del cosiddetto “correntismo” e del perché esso sia da vari decenni una componente rilevante e, a mio avviso, ineliminabile delle modalità decisorie del Csm. La principale ragione deriva dal fatto che al momento di decidere tra le domande, a volte numerose, di trasferimento a funzioni direttive e/o a sedi più gradite, la documentazione ufficiale sui singoli candidati spesso non fornisce ai consiglieri del Csm informazioni utili o sufficienti a scegliere chi tra i concorrenti sia il più meritevole. Ciò dipende in larga misura dal fatto che a partire dagli anni 60 il Csm ha, in vario modo, smantellato tutte le preesistenti e competitive valutazioni di professionalità e ha dato a tutti i magistrati valutazioni positive sulla base dell’anzianità, valutazioni positive che, occorre ricordarlo determinano anche il passaggio da una classe stipendiale a quella di volta in volta più elevata. Le valutazioni negative, di regola solo momentanee, hanno variato tra lo 0,9 e lo 0.5%. Questo è avvenuto nonostante l’articolo 105 della nostra Costituzione preveda espressamente che il Csm debba effettuare le promozioni dei magistrati. Il Csm non ne ha tenuto conto ed ha smesso di farle da cinquanta anni circa. Da allora lo stesso termine “promozioni” non appare più nelle decisioni e nei verbali del Csm.

Negli altri paesi dell’Europa continentale ove, come da noi, i magistrati rimangono in servizio per circa 40 anni (ad esempio Germania e Francia), si ritiene necessario, per garantire qualità ed efficienza della giustizia, che i magistrati vengano sottoposti periodicamente a sostantive e selettive valutazioni della professionalità nel corso della lunga permanenza in servizio e solo un numero limitato di loro raggiunge i vertici della carriera. Le graduatorie di merito generate da quelle valutazioni limitano drasticamente la discrezionalità nella assegnazione degli incarichi e nei trasferimenti.  Da noi, invece, l’assenza di sostantive valutazioni e di graduatorie di merito rendono formalmente quasi tutti i nostri magistrati altamente qualificati e di grande diligenza. L’unica graduatoria di merito rimasta è quella basata sugli esami di ingresso in magistratura. Di necessità, quindi, le scelte del Csm sono molto spesso caratterizzate da ampi margini di discrezionalità, e non potrebbero non esserlo. Una discrezionalità che ha generato e consolidato nel tempo il cosiddetto correntismo e le disfunzioni ad esso direttamente collegate sotto almeno tre profili.

In primo luogo perché l’assenza di valutazioni di professionalità attendibili e prive di graduatoria di merito da un canto fa molto spesso dipendere il successo dei candidati dall’efficacia con cui vengono appoggiati dai rappresentanti della propria corrente che siedono in Consiglio, dall’altro perché spinge i magistrati a considerare l’appartenenza alle varie correnti come condizione necessaria per ottenere decisioni consiliari a loro favorevoli.

In secondo luogo perché le decisioni discrezionali, frutto di appoggi correntizi, sono spesso sorrette, nel dibattito consiliare che le precede, da motivazioni insufficienti e contraddittorie. Cosa che ha generato un numero crescente di ricorsi al giudice amministrativo contro le decisioni del Csm: nei tre anni per cui ho dati certi (ero componente del Consiglio) i ricorsi sono stati complessivamente 777. Sono ricorsi che spesso hanno successo e costringono il Csm a modificare le sue decisioni, il che è sovente accaduto anche con riferimento a incarichi giudiziari apicali (come quelli di Presidente e di Presidente aggiunto della Corte di cassazione, di due presidenti titolari di sezione e del procuratore generale aggiunto della Corte stessa). È un fenomeno che non si verifica in nessun altro paese europeo in cui, come da noi, si prevedono ricorsi al giudice amministrativo (ad esempio in Francia e Germania).

In terzo luogo perché l’assenza di elementi di valutazione su cui basare con relativa certezza le proprie decisioni è particolarmente gravosa per i consiglieri laici, i quali per avere informazioni più attendibili sui candidati in lizza non possono che rivolgersi ai consiglieri togati, e finire quindi di necessità coinvolti essi stessi nella morsa del correntismo. Le proposte di riforma avanzate dal Ministro Bonafede non sono certamente in grado di restringere la discrezionalità con cui il Csm gestisce il personale di magistratura e le sue aspirazioni. Né a tal fine egli potrebbe proporre di adottare le stesse soluzioni in vigore nei paesi democratici dell’Europa continentale che non conoscono il correntismo. Proponendo cioè di adottare anche da noi severi vagli di professionalità, graduatorie di merito, e promozioni limitate dal numero di vacanze che si creano ai livelli superiori della giurisdizione. Si tratta di innovazioni per varie ragioni impraticabili anche se giuridicamente possibili (la Costituzione prevede infatti che il Csm effettui le promozioni dei magistrati). Per comprendere l’impraticabilità di una tale proposta basti pensare al solo fatto che il Csm, utilizzando i suoi poteri discrezionali per promuovere i magistrati in base all’anzianità (cosa non prevista da nessuna legge), ha tra l’altro anche consentito a tutti i magistrati italiani di raggiungere i più elevati livelli della retribuzione (più di 8000 euro netti al mese). Toccare questi privilegi in un sistema in cui la magistratura ha da decenni acquisito un incontrastato controllo sulla legislazione che la riguarda è assolutamente impensabile. Aggiungo tre postille.

La prima: nel corso delle mie ricerche sui sistemi giudiziari di altri paesi sono riuscito ad avere informazioni precise sui livelli salariali, ma non in Italia. Non quando ero consigliere del Csm, e neppure successivamente facendo presentare da un parlamentare, l’On. Lehner, una dettagliata interrogazione. La cifra che ho indicato dianzi per le retribuzioni nette negli ultimi anni della carriera l’ho dedotta dalla pubblicazione nel 2008 della busta paga mensile di 7.673 euro netti del Presidente della Corte d’appello di Milano. La cifra un po più elevata da me dianzi indicata (8000 euro) tiene con molta cautela conto del fatto che dal 2008 ad oggi i magistrati hanno ottenuto 4 adeguamenti salariali.

La seconda postilla: una verifica sull’efficacia delle valutazioni sostanziali della professionalità e delle graduatorie di merito come strumento per ridurre la discrezionalità delle scelte fatte dal Csm e con essa anche il correntismo può essere fatta con riferimento ai difficili esami per le promozioni in Appello e Cassazione che si sono tenute fino al 1977, in contemporanea con le promozioni generalizzate effettuate dal Csm a partire dal 1968. Gli 80 vincitori di questi difficili concorsi che avevano sopravanzato i colleghi nella graduatoria del “ruolo della magistratura” fino ad un massimo di 2962 posizioni, hanno sempre visto soddisfatte le loro richieste di incarichi da parte del Csm e nessun ricorso è mai stato presentato contro le loro nomine, nonostante essi abbiano monopolizzato per molti anni le posizioni di vertice sia al livello distrettuale che della Corte di cassazione, cioè le posizioni direttive più ambite. Quel monopolio è caduto solo all’inizio di questo secolo (con la nomina di Nicola Marvulli alla Presidenza della Corte di Cassazione nel 2001 e di Mario delli Priscoli a Procuratore generale della Corte stessa nel 2006), e sono subito iniziati i ricorsi anche per quelle posizioni.

Terza postilla: nella sua determinazione di promuovere tutti i magistrati sino al vertice della carriera il Csm ha sistematicamente valutato positivamente anche la professionalità di magistrati che non hanno svolto funzioni giudiziarie per molti anni, a volte decenni. Con ciò stesso il Csm ha di fatto deciso che neppure l’esperienza giudiziaria è necessaria per valutare positivamente la professionalità dei nostri magistrati. Lo scrivo da molti anni, ma la cosa sembra non interessare nessuno.