Mai avrebbe pensato il consigliere Palamara di poter avere il telefono sotto controllo, è chiaro che si sarebbe cautelato invece di parlare e far parlare in libertà. Né tanto meno avrebbe pensato che potessero sparare al passerotto con un missile a testata nucleare anziché con la solita fionda. Perché tale è la differenza tra l’iperpervasivo trojan, pardon captatore informatico, che documenta spezzoni di vita – ideato e prodotto solo per ragioni militari e di intelligence – ed il tradizionale impianto di intercettazione presso le procure (art. 268 cpp ).

La conferma? 60mila pagine di chat. Credo che le comunicazioni intercettate su misfatti di correntismo e politica nell’ambito del procedimento contro Palamara per corruzione semplice e corruzione in atti giudiziari (delitti che per loro titolo consentirono l’utilizzo del captatore, si dice che la corruzione in atti giudiziari sia stata poi archiviata) ed altri reati minori, pubblicate da alcuni giornali, siano niente più di un frame di una lunga storia sempre uguale che andiamo denunciando da decenni, la scoperta dell’acqua calda per intenderci.

E credo che queste comunicazioni palesemente non abbiano alcun rilievo penale. E che pertanto, appena depositate, almeno in buona parte, avrebbero dovuto essere eliminate dal giudice, per la loro irrilevanza investigativa, nell’apposita “udienza stralcio” prevista dal Codice di procedura penale. Cosa non avvenuta, chissà per quale ragione. Come, chissà per quale ragione, per quanto si legge, pare che le intercettazioni presentino vuoti in circostanze topiche ed unidirezionali. Per tutti questi motivi credo che la loro pubblicazione su alcuni giornali sia avvenuta in violazione quantomeno del codice deontologico di autoregolamentazione. Stando così le cose, possiamo ora occuparcene? In caso di risposta affermativa, è libertà di stampa, diritto/dovere di cronaca o solo, come spesso ha celiato il Foglio, libertà di sputtanamento? E va distinto tra liceità di pubblicazione e liceità di scriverne e discuterne una volta che la pubblicazione sia ormai e comunque avvenuta? C’è poco da fare, come dal letame notoriamente può spuntare un fiore così dal trogolo di queste intercettazioni su commistione tra politici e magistrati può nascere un interrogativo etico: inutilizzabilità all’americana tamquam non esset, oppure utilizzabilità all’italiana visto che con l’avvenuta pubblicazione ormai i buoi sono scappati dalla stalla e, soprattutto, il danno diretto si è già verificato? Mi parrebbe grottesco ignorare il diritto di cronaca su qualcosa che è già avvenuto. Per di più maggiore informazione non può che essere di pubblico interesse ed utilità.

Tutto quello che è emerso è la scoperta dell’acqua calda, si diceva, con la non piccola differenza che ora l’imperante malcostume giudiziario è comprovato al di là di ogni ragionevole dubbio, una sorta di ineffabile ed incontestabile documentario. Erano anni che andavamo denunciando lo strapotere dei pm sia al Csm che al ministero. Le logiche solo correntizie che governano il sistema giustizia; le tante indagini espletate secondo il vento politico; le nomine di dirigenti perfino distrettuali, senza la minima esperienza dirigenziale, decise sulla sola base del loro peso correntizio; i privilegi carrieristici concessi ai più maneggioni di corridoio a discapito dei magistrati più composti e più professionali. Palamara non è un mostro ma uno dei tanti nel sistema associativo. Sta scontando la presente vicenda vuoi per maggiore disponibilità (quasi da zelante attendente militare di una volta: organizzazione di cene carbonare, di inghippi per promozioni e nomine ma anche procacciamento di biglietti allo stadio… o aiuto per trovare casa… o presentazione a qualche vip) vuoi perché all’esito di codeste gare carrieristiche ci sono sempre vincitori che giubilano e vinti che sovente covano rancore ritenendo a torto o ragione di aver subito soprusi.
Sarà pure solo un mediatore, come va dicendo. Non sarà il solo mostro, come ritengo. Ma di certo ha parlato e straparlato dicendo cose terrificanti. Ma andiamo con ordine.

Quella della magistratura è una delle funzioni più importanti e per questo più protette dallo Stato. I magistrati la esercitano in nome del popolo, sono soggetti soltanto alla legge (art.101 Cost.), fanno parte di un ordine autonomo ed indipendente (art. 104 Cost.), sono inamovibili e si distinguono tra loro soltanto per diversità di funzioni (art.107 Cost.). Come non bastasse, grazie alla legge Breganza della fine degli anni 60 il loro trattamento economico progredisce pressoché automaticamente… «basta che continuino a respirare» ironizzano i malintenzionati, e tutto ciò è sacrosanto perché – lo ha spiegato ripetutamente la Corte Costituzionale – l’automatismo corrisponde alla «peculiare ratio di attuare il precetto costituzionale dell’indipendenza e di evitare che essi siano soggetti a periodiche rivendicazioni nei confronti di altri poteri». Per questo giustamente sono stati eliminati i concorsi interni, si progredisce a ruoli aperti e le qualifiche cui è legata la progressione economica sono state sganciate dalle funzioni effettivamente svolte. Ne consegue che ad un magistrato non occorra molto coraggio per essere e restare tranquillamente autonomo ed indipendente nel suo operare, per mandare a quel paese chi possa osare di turbare la sua imparzialità con grilli da politicastro.

Malgrado ciò il correntismo imperversa e si continua a fingere di non capire che politica e terzietà sono tra loro incompatibili.
Malgrado tutto ciò imperversano carrierismo e lotte all’ultimo sangue quali quelle di cui si scrive. Da sempre. Ma soprattutto da quando nel 2006 (D.Lvo n.106/2006) le Procure sono state pesantemente gerarchizzate ed il procuratore della Repubblica è divenuto «titolare esclusivo dell’azione penale» e siccome comandare è meglio che far l’amore, come dicono… e siccome il criterio di anzianità da che era primo è diventato ultimo e dunque la discrezionalità è alta… tutto si spiega, compresi gli estemporanei lacchezzi intercettati, gli occhi dolci ai Palamara di turno e la dignità sotto i piedi. Perché appaiono terrificanti – come prima si diceva – le parole del consigliere Palamara? Perché disvelano uno scenario quasi irrealistico che non può non riverberarsi anche attorno a vicende trascorse. È terrificante il dialogo tra due magistrati che in quanto tali dovrebbero essere – così almeno usano autocertificarsi nelle correnti più di sinistra – “sentinelle della legalità”: il primo esprime stupore per un’incriminazione del ministro dell’Interno, in relazione alla nave Diciotti, in quanto a torto o ragione la ritiene abnorme, tanto che conclude con un «siamo indifendibili» e si sente rispondere da Palamara apertamente, ovvero senza arzigogoli, «hai ragione ma ora bisogna attaccarlo».

Ed il primo – un procuratore della Repubblica, credo di aver letto da qualche parte – non ribatte insultando ferocemente, come sarebbe stato giusto, o almeno esclamando ma che cavolo dici. Ma il discorso finisce lì per i due magistrati, che dovrebbero essere per dettato costituzionale autonomi terzi imparziali indipendenti. Nel paradosso che i magistrati per legge non possono essere iscritti a partiti politici ma, iscritti a correnti iperpoliticizzate ad essi contigue, possono invece organizzare un’allegra fronda politica al ministro dell’ interno. Analisi delle frasi: «siamo indifendibili» vuol dire che il ministro è indagato per un reato che non sussiste o comunque non ha commesso; «hai ragione, ma ora bisogna attaccarlo» vuol dire che, sì d’accordo, è innocente ma il particolare è di nessuna importanza visto che per contingenti ragioni politiche bisogna continuare a tenerlo sotto processo. Argomentazioni che forse sanno di usurpazione.

È terrificante perché siamo la patria di un procedimento scarsamente garantito dove magistrati di codesta risma potrebbero fare e disfare a loro piacimento. La patria dove, come scrisse Enzo Tortora alla sua Francesca, può accadere di tutto a tutti. La patria – come diceva Giovanni Falcone – di giudice e pm parenti tra di loro, del concorso esterno in concorso interno, dell’applicazione retroattiva della legge Severino, del rito accusatorio che più inquisitorio non si può visto l’assoluto predominio di indagini preliminari svolte alle spalle della difesa, delle azioni penali obbligatorie ma chiuse nei cassetti fino al loro spirare, dei non pochi massacri mediatici, delle inchieste senza fine che durano decenni quanto agli esecutori ed altri decenni quanto ai mandanti e delle sentenze definitive che non arrivano mai in tempo utile, etc etc etc.  Terrificante perché, in un contesto così barbaro, il paradigmatico invito «hai ragione, ma ora bisogna attaccarlo» da parte di chi – come le mitologiche tre Parche – quale potente big correntizio ed ex componente del Csm presiede i destini professionali dei magistrati potrebbe far ripensare al passato; in particolare potrebbe evocare e rendere comprensibili sia alcune sgangherate stagioni di guerra giudiziaria finite quasi tutte nel nulla, tipo quelle di Carnevale Berlusconi con Ruby, Mannino, Mori, Mafiacapitale sia la sorridente e fino ad oggi incomprensibile commiserazione per chi allora avesse temerariamente mostrato di dubitare sulla fondatezza delle impostazioni accusatorie.

Per l’avvenuta conferma delle loro denunce, i cd garantisti dovrebbero finalmente gioire. Nulla di tutto ciò, lo scandalo non può che preoccupare ben sapendo come sia vitale ed insostituibile – per l’accettazione di qualsiasi giudizio – la funzione giurisdizionale esercitata con dignità e cultura, in modo autorevole credibile e terzo in nome del popolo (art.101 Cost.) con un giusto processo (art.111 Cost.). Ma si dice che non è mai troppo tardi. Dopo decenni di troppo paziente immobilismo urge uno scossone radicale, che faccia dimenticare le miserie messe in luce dal trojan e recuperare immagine ed efficienza mediante una trasformazione strutturale di tutto il sistema. Partendo dalla riforma del Csm mediante sistema misto tra sorteggio ed elezione, unico modo per evitare giri e promesse elettorali, aspettative e pretese, logiche di appartenenza. Dimenticando la riformetta Bonafede che bolle in pentola, a quel che pare ingenuamente incentrata su di un gattopardesco doppio turno con ballottaggio. E poi continuando con tutto quello che, al fine di armonizzare l’ordinamento giudiziario al codice di rito 1989, come ritornello si invoca inutilmente da sempre: separazione delle carriere, abolizione dell’impugnabilità da parte del pm delle sentenze assolutorie, abolizione del divieto della reformatio in peius, depenalizzazione degli ancora troppi illeciti bagatellari, “rianimazione” della fase dibattimentale, della difesa, del contraddittorio etc etc etc . Tanto per cominciare.