Era difficile immaginare una fine più ingloriosa per l’attuale giunta dell’Anm. Dopo la pubblicazione dell’ennesima chat di Luca Palamara con importanti esponenti del “parlamentino” delle toghe, il presidente Luca Poniz, pm di Milano ed esponente della corrente di sinistra Area, ed il segretario Giuliano Caputo, pm a Napoli e membro di Unicost, hanno deciso che fosse giunto il momento di calare il sipario. Le dimissioni sono arrivate questo fine settimana al termine di un’assemblea durata circa dieci ore dove ognuno ha rinfacciato all’altro di aver posto in essere “prassi distorte” e “degenerazioni” correntizie. Quella che doveva essere la giunta della riconciliazione fra le correnti della magistratura, con la rotazione annuale della segreteria nazionale, verrà dunque ricordata come la giunta travolta dal “Palamaragate”. Con un finale di coda a sorpresa: se il primo presidente era stato Piercamillo Davigo, il “commissario liquidatore” sarà probabilmente un davighiano di stretta osservanza, il giudice bresciano Cesare Bonamartini.

Ma come si è arrivati alle dimissioni? È necessario tornare al maggio del 2019 quando gli ormai ex vertici dell’Anm fecero, come si usa dire, “i conti senza l’oste”. Esploso il caso Palamara, defenestrarono l’allora presidente del sindacato delle toghe Pasquale Grasso, esponente di Magistratura indipendente, la corrente coinvolta con alcuni rappresentanti al Csm negli incontri con i deputati Cosimo Ferri e Luca Lotti dove si discuteva di nomine. Cacciato Grasso e Mi dalla giunta, la triade Area, Unicost e davighiani pensò di aver risolto tutti i problemi.
Inizialmente la scelta sembrava aver dato loro ragione, anche perché la vicenda Palamara era finita nel dimenticatoio, visto che i grandi giornali che avevano cavalcato lo scandalo smisero di parlarne. Il “ribaltone” al Csm, dove nel frattempo si era creata una maggioranza diversa da quella uscita dalle elezioni del 2018, aveva poi chiuso il cerchio. Questo fino a qualche giorno fa, quando il quotidiano La Verità ha iniziato la pubblicazione delle chat whatsapp di Palamara.

Centinaia di contatti che hanno svelato una scenario molto diverso da quello di maggio del 2019, evidenziando gli strettissimi rapporti di Palamara con i vertici di Area e Unicost nella spartizione degli incarichi. Una lottizzazione a testa basta che è costata anche il posto al capo di gabinetto del Ministero della giustizia Fulvio Baldi. Colloqui “squallidi e mortificanti”, come fatto trapelare ieri dal Quirinale con un articolo sul Corriere della Sera. La giunta era scaduta lo scorso marzo, poi a causa del Covid-19 la proroga a giugno. Le elezioni, salvo sorprese, sono previste ad ottobre. La fine della giunta arriva nella settimana nella quale è prevista la ripartenza del tavolo a via Arenula per la riforma della giustizia e del Csm. Un tavolo dove i magistrati si presenteranno senza un interlocutore legittimato e autorevole.  Le toghe di Mi, che hanno chiesto l’anticipo delle elezioni a luglio, si sono nel frattempo tolte qualche sassolino dalle scarpe.

«Il bilancio è disastroso: è passato un anno dai fatti della primavera 2019 e la giunta Poniz, impegnata in un’incessante elaborazione senza costrutto, non ha avanzato una sola proposta concreta per combattere quelle degenerazioni del correntismo, o del carrierismo, per cui (in teoria) era nata», si legge in una nota della segreteria nazionale delle toghe di destra. La memoria torna allora all’ultimo congresso dell’Anm di Genova dove Poniz cambiò idea sulla riforma della prescrizione voluta da Bonafede: prima avversata, poi accolta con entusiasmo. I maligni fecero notare che dietro il cambio di rotta dell’Anm sulla prescrizione ci fosse stata la promessa di Bonafede di mandare in soffitta la riforma del Csm con la previsione del sorteggio dei suoi componenti. Un cavallo di battaglia dei grillini. Sorteggio che adesso, a distanza di sei mesi, sarà riproposto da Bonafede.