Il caso
I magistrati scoprono la gogna mediatica sulla propria pelle e si lamentano
Nella mitologia greca era la nemesi. Dante la definiva la legge del contrappasso. Nei tempi moderni è il boomerang. È quanto sta accadendo in queste ore alle “toghe rosse” di Magistratura democratica, travolte dalla pubblicazione dei colloqui di alcuni autorevoli magistrati progressisti con l’ex presidente dell’Anm Luca Palamara. I colloqui, contenuti nel fascicolo di Perugia aperto a carico di Palamara per il reato di corruzione, non hanno nulla di penalmente rilevante. Rischiano, però, di mettere in grande imbarazzo i magistrati di sinistra che lo scorso anno, sulla base di altre intercettazioni contenute nel medesimo fascicolo e dove i protagonisti erano i colleghi della corrente di destra di Magistratura indipendente, evocarono lo spettro della P2 di Licio Gelli. «È in atto un attacco concentrico di una parte della stampa e di una parte della magistratura» scrive in una nota il Coordinamento di Area, il raggruppamento di cui fa parte Md. «Si riportano – prosegue – stralci di atti giudiziari che rappresentano segmenti di fatti che vengono poi completati e chiosati ad arte, al fine di accreditare un malcostume diffuso a tutti i livelli della magistratura: una notte oscura nella quale tutti gatti sono grigi».
«Manovrando il linguaggio con sapienza, si riescono a costruire infinite “verità” e oggi si cerca di confondere quella vicenda, pericolosa per le istituzioni, con atteggiamenti e comportamenti dei nostri odierni rappresentanti, che nulla hanno a che vedere con il corretto esercizio della loro attività istituzionale», continua la nota di Area. «Non siamo disposti a tollerare operazioni mediatiche preordinate a confondere le responsabilità per giungere ad una generale assoluzione che lasci tutto come sempre è stato» conclude la nota. Sul fronte dell’Anm, invece, la giunta esecutiva ha fatto sapere di aver chiesto tutti gli atti del fasciolo “Palamara” alla Procura di Perugia al fine di verificare l’eventuale sussistenza di violazioni di natura «etica” e/o “deontologica» da parte degli iscritti coinvolti nei colloqui riportata. Il caso più rilevante riguarda quello del giudice Angelo Renna di Unicost, attuale componente della giunta Anm, che lo scorso anno definì la vicenda Palamara una «Caporetto per la magistratura». «Non mi muovo senza che tu mi dica cosa fare, sei certo molto più bravo di me», scriveva Renna, che voleva diventare aggiunto a Milano, a Palamara. «Grazie, quasi mi vergogno ma mi emoziono» la successiva risposta di Renna all’interessamento di Palamara.
Esclusi i profili penali, l’attenzione delle toghe si concentra ora sulle violazioni deontologiche e disciplinari. Massimo Vaccari, giudice del Tribunale di Verona, ricorda a tal proposito che Giuseppe Cascini è componente della sezione disciplinare che l’anno scorso condannò un magistrato che, fra l’altro, aveva richiesto (come parrebbe abbia fatto l’ex aggiunto di Roma) per alcuni componenti della sua famiglia dei “biglietti gratuiti per assistere alle partite di una squadra di calcio». Nella motivazione del provvedimento la disciplinare aveva evidenziato come «anche a causa della rilevanza mediatica del procedimento, gli episodi contestati sono divenuti di comune dominio ed hanno pertanto determinato un grave e oggettivo ‘vulnus’ della credibilità professionale del magistrato, dinanzi all’opinione pubblica ed agli ambienti forensi, non compatibile con l’esercizio delle funzioni».
Il codice deontologico delle toghe, approvato dall’Anm su proposta di una Commissione di cui avevano fatto parte Palamara e Cascini, prevede che il magistrato corretto «non si serve del suo ruolo istituzionale o associativo per ottenere benefici o privilegi per sé o per altri». Tornando al 2019, vale la pena ricordare che il togato di Mi Paolo Criscuoli, poi dimessosi per aver partecipato pur senza intervenire alla nota cena con i deputati Ferri e Lotti, fu “invitato”, circostanza mai smentita, a non entrare in Plenum per non mettere in imbarazzo i colleghi.
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