Nelle pagine seguenti pubblichiamo tre e-mail che si sono scambiati alcuni magistrati, dopo che diversi membri, o ex membri, del Consiglio superiore della magistratura sono stati infangati dalla pubblicazione sui giornali delle chat di Luca Palamara, intercettate e poi diffuse dalla magistratura perugina. Le pubblichiamo perché in queste lettere – apparse in questi giorni su una chat di magistrati – non c’è niente che “sputtani” i magistrati che le hanno scritte. C’è solo una idea che emerge piuttosto limpida, ed è questa: il metodo di intercettare, spiare, trafugare mail o WhatsApp privati è un metodo un po’ schifoso che non serve certo ad accertare nuove verità ma serve solo a gettare fango e fango addosso alle persone. Alcuni magistrati, specie quelli appartenenti alle correnti di sinistra, immaginano che tutto questo sia solo una manovra che serve a stringere la tenaglia sul collo di Magistratura democratica e cambiare la maggioranza del Csm. Altri si limitano a vedere lo spirito di vendetta contro singole persone. Altri denunciano le manovre della stampa, guidate evidentemente da qualcuno, e precisamente da settori nemici della stessa magistratura. Tutto vero.

Qui copio testualmente una frase scritta dal magistrato Valerio Fracassi, prestigiosissimo membro del Csm per molti anni (e anche lui finito sui giornali). È una frase riferita alle intercettazioni e al metodo di diffondere e far pubblicare messaggi riservati: «Non solo questa “pesca”, che accosta chissà perché il calcio alle nomine in migliaia di messaggi, diventa oro colato, ma addirittura non ci si chiede in quale contesto sia maturata la frase riportata per comprenderne il senso compiuto. Il messaggio sintetizza, spesso è preceduto e seguito da colloqui, discussioni, accompagnato da tensioni e quindi scritto in fretta, riguarda, in questo caso, persone che si conoscono da un decennio e, nel periodo, hanno quotidianamente lavorato per quattro anni dalla mattina alla sera. Perfino le nostre chat fuori del contesto o addirittura alcuni colloqui a margine dei processi, potrebbero dar adito a letture “particolari” di chi è alla ricerca di conferme alle tesi precostituite».

Già, è esattamente così. C’è però qualcosa che i nostri amici magistrati ancora non dicono. Che questo metodo di “pesca”, questa abitudine a usare intercettazioni o chiacchiere rubate come conferma di tesi precostituite, questa molto ampia possibilità di non capire o addirittura di rovesciare il senso di una frase scambiata tra amici, tutto questo è – sì, certamente – una infamia, ma non è un’infamia solo nel caso, rarissimo, nel quale le vittime sono i magistrati, è un’infamia sempre, anche quando riguarda imputati comuni o – ancor più spesso – quando riguarda gente famosa e in particolare donne o uomini politici. Non credo che sia difficilissimo fare il passo in più. Lo so benissimo che spesso, nella vita, per capire alcune ignominie bisogna passarci dentro, assaggiarle sulla pelle propria. Che fino a quel momento ti sembra che l’ignobile sia la vittima e che il carnefice sia un cavaliere puro, un Torquemada buono. Ora però è successo: fior di magistrati, di grande valore e – non ne dubito neanche per un minuto – di forte spessore morale, sono stati travolti dalle intercettazioni e dalle spie e dai giornali. Ora che è successo è bene che questi magistrati trasformino la loro autodifesa in un atto di accusa, aprendo un fronte liberale nella testuggine manettara e spiona della magistratura.

Non è difficile dimostrare che nella maggior parte dei casi le intercettazioni non servono a colpire il crimine ma solo a fabbricare prove, spessissimo false. Né è difficile spiegare che ancora più spesso le intercettazioni sono usate solo nella parte non rilevante dal punto di vista penale, e cioè sono usate per sputtanare persone non colpevoli. Non è difficile neanche raccontare come le intercettazioni servono a comprare i giornalisti, a tenerli buoni, a saperli dalla propria parte e, molto di frequente – ai propri ordini. Dottor Cascini, dottor Fracassi: è così. Dottor Palamara: è così. E se solo avete un po’ di voglia di ragionare in modo oggettivo, anche voi lo capite. Vorremmo adesso avervi al nostro fianco nella battaglia per fermare questa infamia, assolutamente italiana, che sono le intercettazioni a pioggia (cento volte più numerose – dico cento volte – di quelle che si eseguono in Gran Bretagna).

Il compito principale sta alla magistratura. È la magistratura che deve chiedere che sia bloccato questo sistema da Germania comunista, o da polizia fascista. Poi viene la politica. Ma la politica, lo sapete benissimo, si muove solo se ha il via libera della magistratura, su questi temi, perché è terrorizzata da voi, ha paura, è sottomessa. Così come voi siete sottomessi alla politica quando riempite gli uffici dei palazzi coi fuori ruolo e permettete che diventino dirigenti o capo di gabinetto di un ministro. Non è così? A cosa è servita l’inchiesta di Perugia? Formalmente a dirci che la magistratura funziona grazie al sottobosco delle correnti, come e molto più della politica fatta col “Cencelli”. Sapete chi è Cencelli? Un vecchio deputato dc che aveva scritto un manuale su come distribuire perfettamente i posti di governo e di sottogoverno tenendo conto di correnti, luoghi geografici, sesso ed età. Oggi c’è Palamara. Cencelli e Palamara sono due ottime persone, non è ottimo il metodo che usano per amministrare il potere.

Ma che le cose funzionassero così già lo sapevamo tutti. I giornali non lo scrivevano solo perché i grandi giornali italiani sono al servizio dei Pm. Cioè, del partito dei Pm. Ora quel partito è a pezzi e i giornali sbandano. Inseguono Travaglio, ma non sono più neanche sicurissimi che il capo sia lui. E allora? Se in magistratura c’è qualcuno con un briciolo di coraggio, venga allo scoperto. Ritrovi il senso delle battaglie liberali e garantiste. Non chieda ai magistrati intercettati di dimettersi. Non hanno fatto niente di male, non si dimettano. Si decidano invece a ingaggiare la battaglia. Perché la magistratura torni ad esserci la magistratura e smetta di essere un luogo di corruzione e di mania di potere, di ricatti e vendette che rischia di travolgere la democrazia e lo Stato di diritto.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.