Quando lo scorso primo marzo Perugia inizia ad intercettare Luca Palamara, l’ex presidente dell’Anm è in servizio alla Procura di Roma. Terminato il mandato di consigliere al Csm a fine settembre del 2018, Palamara è tornato a fare il sostituto a piazzale Clodio. Pur non avendo più incarichi, l’ex togato di Palazzo dei Marescialli è sempre un punto di riferimento in Unicost, la corrente di centro, ed è in grado di influire nelle scelte per i ruoli apicali della magistratura. Palamara è un uomo di potere a tutto tondo. Conosce benissimo i meccanismi che regolano il funzionamento degli uffici giudiziari del Paese e di ogni presidente di Tribunale o procuratore sa vita, morte e miracoli. Palamara non nasce dal nulla. È figlio d’arte. A febbraio del 2018, l’allora ministro dell’Interno Marco Minniti organizzò al Viminale, presente anche Andrea Orlando, all’epoca ministro della Giustizia, una solenne cerimonia per i trent’anni della scomparsa del padre Rocco. Magistrato distaccato al Ministero, Rocco Palamara realizzò negli anni 80 il sistema della cooperazione giudiziaria fra l’Italia e gli Stati Uniti, arrestando Michele Sindona, Licio Gelli e Francesco Pazienza. Insieme a Cosimo Ferri, altro uomo di potere e anche egli figlio d’arte (il padre Enrico, già ministro dei Trasporti, è stato uno dei leader di Magistratura indipendente), Palamara è riuscito a far nominare il dem David Ermini vice presidente del Csm.

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Palamara e Ferri sono macchine da guerra per la raccolta del consenso. Signori delle preferenze ad ogni elezione dell’Anm o del Csm. Il loro è un lavoro “pancia a terra”: centinaia di telefonate, aperitivi, cene, incontri. Il collega va coccolato e mai lasciato solo. I due sono diversi da Piercamillo Davigo. Il consenso di quest’ultimo è essenzialmente mediatico, sull’onda lunga della narrazione di Mani pulite. Davigo non organizzerebbe mai, ad esempio, come invece fa Ferri, ogni estate una maxi festa al castello del Pignaro (MS), con centinaia di magistrati attovagliati davanti ad un piatto di panigacci.  Ai magistrati, comunque, non serve uno come Davigo. Serve uno come Palamara o Ferri. Prima o poi, anche il migliore magistrato può inciampare sulla classica buccia di banana: un detenuto non scarcerato nei termini, una sentenza depositata in ritardo, l’esposto di qualche avvocato. Ed ecco aprirsi lo spettro del disciplinare che rischia di bloccare per anni la carriera. A quel punto entrano in campo loro. Aver qualcuno che garantisce sulla correttezza e professionalità del collega è importante. E poi, le nomine e i posti di prestigio: Massimario, Procura generale, Cassazione, magistrati segretari al Csm, ecc. Palamara a marzo ha due problemi. Mantenere il controllo di Unicost (e quello dei togati di Unicost al Csm) e riuscire a diventare aggiunto a Roma. Fra gli ex consiglieri del Csm è prassi, terminato il mandato, passare “all’incasso”. Quasi tutti fanno domanda per qualche direttivo, confidando nella “riconoscenza” di quelli che a Palazzo dei Marescialli hanno preso il loro posto. Il primo marzo 2019, lo scenario a piazza Indipendenza è radicalmente cambiato.

La sinistra giudiziaria di Magistratura democratica, ora denominata Area, dopo le elezione del 2018 non ha più la maggioranza, sostituita per la prima volta da Magistratura indipendente. Palamara sa bene che per continuare a gestire il potere bisogna riposizionare quanto prima Unicost, lasciando al suo destino lo storico alleato di Md. Sono i numeri al Csm che guidano il cambio di rotta di Palamara: cinque togati di Unicost, cinque di Mi, il primo presidente della Cassazione, Giovanni Mammone di Mi, e il procuratore generale Riccardo Fuzio di Unicost. Poi, sulla carta, i laici di centro destra, due in quota Forza Italia e due Lega. Potenzialmente non c’è partita: 16 voti su 26 disponibili. Il problema è come rompere con Md, la cui delegazione al Csm è capeggiata dall’aggiunto di Roma Giuseppe Cascini. Palamara e Cascini hanno condiviso i vertici dell’Anm ai tempi delle leggi ad personam di Berlusconi. Davigo, invece, non è considerato un problema.
Una delle prima telefonate intercettate è con Luigi Spina, consigliere di Unicost al Csm. Oggetto della conversazione, la nomina del successore di Giuseppe Pignatone alla procura di Roma e di Luigi De Ficchy a quella di Perugia. I due andranno in pensione fra pochi mesi, rispettivamente a maggio e a giugno.

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Palamara, raccontando, di una riunione con alcuni esponenti di spicco di Unicost, sottolinea che per Perugia comincia a girare il nome del collega di corrente Giuseppe Borrelli, della Dda di Napoli. Il proprio futuro professionale, però, è l’assillo di Palamara. I giornali hanno riportato che Perugia sta svolgendo indagini su di lui. E questo potrebbe essere un problema per la nomina ad aggiunto. Ha bisogno dell’appoggio di tutta la corrente. Ma Unicost ha molte anime. E non tutti vogliono andare a “destra” con Magistratura indipendente. C’è chi non ha intenzione di abbandonare lo storico alleato, ben sapendo che Md ha il controllo pieno di tanti uffici giudiziari e ha molti suoi uomini in posti apicali al Ministero. Palamara, sempre lo stesso giorno, parla del proprio futuro con Paolo Auriemma, presidente del Tribunale di Viterbo, anch’egli esponente di Unicost. «Resterò a fare il sostituto a vita, andrò a pulire i cessi» si sfoga. Auriemma cerca di tranquillizzarlo: «Non è che muori se rimani a fare il sostituto». Palamara risponde: «Ma a me va benissimo, sono privo di responsabilità, mi rilasso». «E’ una questione di principio» aggiunge, precisando che «mi conveniva fare il dirigente da qualsiasi altra parte che stavo da solo piuttosto che andare a fare l’aggiunto a Roma». Palamara ha grande stima di Auriemma. «Sei l’unico che ha i coglioni», gli dice. Durante la conversazione, oltre a Borrelli, spunta un nuovo aspirante per Perugia: Francesco Prete, procuratore di Velletri, anche lui esponente di Unicost. Si profila un derby per la Procura del capoluogo umbro. Borrelli e Prete hanno fatto domanda anche per altre Procure.

(Continua. La prima puntata è stata pubblicata venerdì 6 dicembre)