L'editoriale
Il virus sanitario si sta trasformando in giudiziario, con inchieste e speculazioni politiche
Il governatore della Regione Lombardia Attilio Fontana e il sindaco di Milano Beppe Sala farebbero bene, uno di questi giorni, ma al più presto, ad andare al Palazzo di giustizia a trovare il Procuratore della repubblica e fare con lui due chiacchiere. Intanto perché Francesco Greco è molto simpatico. Poi perché è accorto e sensato, tanto da aver suggerito nei giorni scorsi ai suoi sostituti di evitare di contribuire ad affollare le carceri italiane, che sono già tra le più stipate del mondo, con nuovi arresti. Limitate la custodia cautelare, ha scritto ai suoi pm, ai “reati con modalità violente” o di “eccezionale gravità e/o codice rosso”. Un provvedimento di cui dovrebbero essergli grati tutti i cittadini, perché sarebbe un’ecatombe di proporzioni eccezionali se il coronavirus, che si è già affacciato in qualche istituto ma ancora con numeri contenuti, facesse esplodere il contagio anche nelle carceri. E visto che su un reale svuotamento, come è stato già fatto in diverse parti del mondo, non si può contare fino a che avremo un ministro guardasigilli sordo come Bonafede, è opportuno evitare il più possibile gli ingressi di chi, da fuori, potrebbe portare inconsapevolmente il virus all’interno.
Ma, finiti i convenevoli e i complimenti per la sensibilità mostrata dal Procuratore nei confronti dei reclusi, c’è un altro motivo per cui il presidente della Regione e il sindaco di Milano farebbero bene a sentire l’aria che tira in tribunale. Come ampiamente previsto, e come noi stessi avevamo denunciato già da parecchi giorni, il virus da sanitario si sta già trasformando in giudiziario. Al tribunale di Bergamo fioccano le denunce ed è stata aperta un’inchiesta che va a coprire addirittura i fatti che riguardano tutta l’epidemia fin dal primo contagiato di cui si sia avuta notizia. C’è stato un dettagliato esposto di un giornalista e ci sono denunce. Si prospettano indagini per omissioni, ma si comincia a parlare anche di diffusione colposa del contagio.
Sotto la lente d’ingrandimento l’incapacità (o l’impossibilità), nelle situazioni territoriali, di diagnosticare con sicurezza la differenza tra polmoniti e contagi da coronavirus. E qui entrano nell’occhio del tifone anche i medici. E si teme una catena di S. Antonio, che parte dai parenti delle persone decedute per arrivare ai sanitari e infine alle Asl, alle strutture ospedaliere e su su fino ai vertici regionali. Ma le denunce ci sono anche a Milano, già una decina, e sono nelle mani del procuratore aggiunto Tiziana Siciliano, che fino a ora non pare aver assunto alcuna iniziativa. Ma siamo all’impazzimento generale, che trasforma il dolore in rabbia e una parte dell’informazione che soffia sul fuoco e si butta su uno scandalismo che non vedevamo a Milano dai tempi di Mani Pulite.
Non è un caso che sia La Repubblica (tallonata dallo scodinzolante Fatto Quotidiano) a buttarsi come un lupo affamato proprio sul Pio Albergo Trivulzio, il più grande Istituto geriatrico assistenziale italiano, ingaggiando una gara di numeri di morti e di bare, tanto da guadagnarsi una diffida tanto dalla Presidenza quanto dalla Direzione generale dell’Ente. Non è secondario il fatto che la diffida porti le due firme, quella del presidente dottor Ferrara e quella del Dg dottor Calicchia. Perché uno è stato nominato da Giuliano Pisapia e l’altro da un accordo Regione-Comune di Milano. E perché la maggioranza del Consiglio di indirizzo dell’Ente (quattro a tre) è nominata dal Comune di Milano, cioè dalla sinistra. Se problemi politici dovessero esserci in futuro quindi, si deve sapere che riguardano una gestione congiunta tra la giunta comunale di centrosinistra e quella regionale di centrodestra.
Nelle Case di riposo lombarde ( e anche di altre Regioni) sono morte moltissime persone, nello scorso mese di marzo. Il che in tempi normali non sarebbe neanche una notizia, dal momento che nelle Rsa ormai sono ospitati solo malati gravi di alzheimer e demenza senile o persone molto anziane. Ci sono più novantenni che settantenni. Sono numeri che possono fare impressione, se si sente dire per esempio che al Pat o al Golgi Redaelli, che sono le due grandi strutture assistenziali milanesi, nel marzo dell’anno scorso è mancata una settantina di persone. Ma è la triste normalità.
Ma nel marzo di quest’anno ne sono morti di più, al Trivulzio come in tutte le settecento case di riposo lombarde: bronchiti e polmoniti, o coronavirus? Non si conoscono con precisione le diagnosi, pur in presenza nei due istituti di personale medico e paramedico specializzato e molto preparato. E non si conoscono neppure bene i numeri. Anche perché, in seguito a una delibera regionale dell’8 marzo alcune Rsa ( in genere le più piccole, private) hanno accolto pazienti in via di guarigione dimessi dall’ospedale o persone in quarantena. Pazienti che difficilmente possono aver contagiato gli anziani, visto che erano stati alloggiati in settori separati, ma di cui non si conoscono bene l’entità e i numeri.
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