Giancarlo Caselli, ex Procuratore di Palermo e Torino, chiede che il 41 bis – cioè il carcere duro – diventi una misura più rigorosa, afflittiva. Caselli se la prende con la Corte Europea e con la Corte Costituzionale. Non manda giù l’idea che la Costituzione valga pure per i mafiosi. Considera questo principio un cavillo, una falla per la Giustizia. Nino Di Matteo, membro del Csm, punta di lancia del movimento giustizialista, pedina di primo piano nella strategia Cinque stelle, si scaglia contro i giudici di Milano che hanno deciso la scarcerazione (con otto mesi di anticipo) di Francesco Bonura, detenuto che stava finendo di scontare una pena a 18 anni per reati di mafia. Di Matteo accusa i suoi colleghi giudici di avere ceduto al ricatto mafioso (testuale). In pratica li indica per l’imputazione di concorso esterno in associazione mafiosa. Un reato che gli è caro. E chiede al governo di intervenire.

I partiti di maggioranza e di opposizione gridano allo scandalo, naturalmente ce l’hanno con i giudici che hanno scarcerato: chiedono contromisure, convocano l’antimafia, pretendono controlli sulla salute di Bonura. Diciamo che sono fuori dei gangheri perché è stata applicata la legge. Il ministro Bonafede manda gli ispettori. Marco Travaglio scatena il suo giornale. E lancia l’allarme degli allarmi: dopo Bonura vogliono scarcerare anche Raffaele Cutolo, il camorrista, quello della canzone di De André, che è in prigione dal 1963. Sì, sì, nessun refuso: l’hanno messo in gattabuia 57 anni fa, quando era un ragazzetto, un guappo di 22 anni. Ora ne ha quasi 80. Da allora è stato fuori solo un po’ meno di due anni, alla fine dei 70, perché era evaso.

Questo è il quadro. Anno 2020. circa 230 anni dopo la rivoluzione francese, più di 250 anni dopo il libro di Beccaria, 396 anni dopo la nascita di Voltaire. Secoli e decenni passati inutilmente: non c’è quasi nessuna differenza tra il giustizialismo di oggi e quello del ‘700. Cosa è successo per scatenare questo putiferio? Che il tribunale di sorveglianza di Milano ha accolto l’istanza di arresti domiciliari per ragioni di salute di un detenuto quasi ottantenne, molto malato, e che ha già scontato 17 anni di carcere su 18 di condanna e gli mancano otto mesi alla scarcerazione definitiva. Tutto qui. Però si è scoperto che il detenuto, Francesco Bonura, è stato condannato per reati di mafia. E voi sapete che un reato di mafia non è un reato, è la malvagità delle malvagità.

Se stermini la famiglia, per esempio, non vai al 41 bis. Se incassi il pizzo per un boss, ci vai. Bonura era al 41 bis: al carcere duro, quasi ottantenne, malato, operato, con un cancro, a rischio di vita. Nessuno si scandalizza perché stavano torturando un vecchio? No: nessuno si scandalizza.  L’articolo di Giancarlo Caselli è un autentico capolavoro. Perché è il vero e proprio manifesto del giustizialismo. Si fonda su principi solidi, molto lontani dalla Costituzione repubblicana, anzi alternativi, ma solidi. Giancarlo Caselli tra l’altro (a differenza degli altri suoi colleghi capifila del giustizialismo e del travaglismo) è uno che ha studiato parecchio, che sa. Lui è convinto che una società che funzioni è una società che punisce. Quando smette di punire, una società diventa fangosa. Bisogna impedire che l’Italia diventi fangosa. Caselli non ha mai guardato in faccia nessuno: mafiosi, brigatisti, no-tav, tangentari. Tutti insieme. al carcere duro. Una sola condizione: che ci sia un sospetto. Le prove poi magari verranno, ma non sono l’aspetto decisivo della giustizia.

La giustizia, per Caselli, si fonda su due pilastri: sospetto e punizione inflessibile. E condanna morale. La forza etica del suo manifesto è lì: condanna morale. Noi buoni, loro malvagi. In mezzo la famosa zona grigia. Di Matteo è diverso. È un po’ un caso limite. Si è sempre battuto per l’indipendenza della magistratura, perché, forse, gli hanno detto che è essenziale per la causa del giustizialismo. Poi si distrae e attacca l’indipendenza del giudice, addirittura sembra invocare l’intervento del governo.  C’è da chiedersi cosa farà il Csm di fronte al caso Di Matteo. L’altro giorno il Csm è saltato su come una furia perché un suo membro, laico, ha messo in discussione il lavoro di qualche magistrato milanese.

E ora che farà con il suo membro togato, con Di Matteo che addirittura accosta la figura dei magistrati milanesi a quella dei mafiosi? Prenderà provvedimenti? Censurerà? Si indignerà? Forse farà proprio come lo Stato di cui parlava De Andrè nella sua canzone su Cutolo: “si costerna, s’indigna s’impegna, poi getta la spugna con gran dignità…”.

C’è poco da scherzare. L’attacco al diritto da parte del fronte giustizialista è sempre più spavaldo e arrogante. Si fa beffe della Costituzione, del diritto internazionale, dell’Europa. Persino dell’ordinamento penale. Sapete di quando è la norma che è stata utilizzata per scarcerare Bonura? Del 1930. Codice Rocco. Il premier era Mussolini. Qui, altro che fascismo! Siamo oltre, oltre, oltre…

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.