Nel giro di 48 ore mi sono sentito dare del verme, del miserabile e della puttana da due dei principali maestri di pensiero del fronte giustizialista. Il linguaggio della polemica politica, evidentemente, si sta affinando. Succedeva così anche negli anni Venti. Mi riferisco a due persone molto diverse tra loro, e anche a due argomenti di polemica diversi. Sto parlando di Marco Travaglio e di Roberto Saviano. Il primo è un giustizialista vero, fatto e finito, nato giustizialista nei salotti reazionari del nord Italia, nei primi anni Novanta, quando era ragazzo, e poi assurto a leader forte, forse unico, del fronte giustizialista reazionario. Il secondo è più recente, viene invece da sinistra e si è formato, credo, nel giustizialismo di fine secolo, quello vicino al Pci post-muro e nel successivo giustizialismo girotondino, che era molto collegato al precedente giustizialismo post-comunista.

Il primo – Travaglio – è un giustizialista tutto d’un pezzo, che rinuncia ai suoi princìpi solo quando parla di se stesso, o di Gratteri o di pochi altri. Ed è anche un politico di mestiere. Ama le manette, sì, ovvio, e il carcere, e le condanne, però gli piace parecchio anche il potere, e cerca con astuzia le vie giuste.  Il secondo – Saviano – è un giustizialista da barricata, molto incostante, mantiene nel suo pantheon intellettuale elementi di garantismo di sinistra – difende i diritti dei deboli seppure in modo molto scombiccherato – e assembla questi principi con il suo insopprimibile desiderio di punizione e di vendetta, almeno per i più ricchi o almeno per i politici e specialmente i politici di destra. Naturalmente questo miscuglio non ben ragionato di idee lo porta a notevoli sbandamenti e a incoerenze quasi fanciullesche. Perdonabili? Beh, tutto è perdonabile…

Su Travaglio ho poco da dirvi. Gli sono saltati i nervi quando il Riformista ha informato i suoi lettori che era in corso una manovra per portare alla Presidenza dell’Eni una esponente del Fatto Quotidiano. Sto parlando di Lucia Calvosa. Ha perso i nervi e ha iniziato a insultare, e gli è capitato nel suo editoriale di sabato di definirmi un “verme miserabile”. Dice anche che il Riformista (che lui di solito chiama “il Riformatorio”) è un “giornalaccio”. Cito alla lettera, eh. Perché? Perché sulle manovre sottobanco, le lottizzazioni che definiranno il nuovo quadro del potere politico ed economico in Italia – sostiene Travaglio – è bene che i giornalisti tacciano. Non devono impicciarsi, perché non capiscono. E perché oltretutto – dice – la sua battaglia per la conquista dell’Eni non è una operazione di potere ma una battaglia di principio. Un po’, se ho capito bene, come quella che fece Berlusconi per la conquista della Sme che voleva strappare a De Benedetti… Che volete che vi dica? Una volta mi ricordo che Marco diceva che il giornalismo è il cane da guardia contro il potere. Adesso questo cane da guardia, evidentemente, ha sei zampe…

E Saviano? Saviano è diverso. Il suo è solamente un ragionamento schizofrenico. Lui risponde graziosamente alla lettera di una infermiera che gli chiede perché, persino in questi giorni drammatici, ci sia gente come lui che pensa solo a chi e quanto potrà punire, e non pensa a quali rimedi vanno trovati per ridurre il dramma. Saviano nelle prime righe sembra dirgli: quanto hai ragione, amica mia! E poi giù 300 righe rabbiose di grida: prendeteli, prendeteli, scannateli! In queste righe pasticcia idee e affermazioni che non saprei come definire. Dice, appunto, che i garantisti negli ultimi 25 anni sono stati solo delle puttane (e qui, riconoscendomi garantista da 25 anni mi prendo questo nuovo complimento), poi prova a spiegarci che Bordin, il mitico conduttore di “Stampa e regime” su Radio radicale, era un suo seguace, e anche Sciascia lo era. E che loro non erano garantisti ma si battevano solo per la giustizia sociale.

Vabbé, uno non è che può contestare le affermazioni folli di Saviano, perché sono talmente prive di logica e di conoscenza politica che sarebbe come se qualcuno decidesse di mettersi a discutere con me di fisica nucleare. Però l’articolo di Saviano stava lì, vistosissimo, sulla prima pagina di Repubblica. Saviano rappresenta quel modo di pensare di un pezzo importante dell’Italia democratica. Sono quelli che considerano il garantismo una cosa da puttane, lo identificano col berlusconismo, ne fanno il principale nemico. E in un calderone buttano Bordin, Sciascia, persino Beccaria, e li confondono con Gramsci, senza sapere peraltro un’acca di Gramsci.

Ecco, bisognerà spiegar loro che la lotta per l’equità sociale è una battaglia nobilissima, tipica della sinistra, ma con il garantismo c’entra poco. Il garantismo è una posizione di difesa dello Stato di diritto che prescinde dalle classi. Se non prescinde dalle classi non è garantismo. Il garantismo sta con Dell’Utri condannato senza reato, con Formigoni, sta con Salvini processato per motivi politici, sta con Casarini, insultato da Salvini, sta con la signora Nicoletta Dosio, la no-Tav messa in prigione a Torino, sta a bordo della navi delle Ong e nei campi profughi, sta dentro tutte le celle di tutte le prigioni, comprese quelle del 41 bis. E senza il garantismo, né destra né sinistra riusciranno mai a entrare nella modernità. Senza garantismo vince Travaglio. Capito bene? E lui vi guarderà con l’aria da Torquemada e vi dirà: vermi, miserabili vermi!

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.