Magari qualcuno penserà che siamo stati colti da un’ossessione. Che parliamo di carceri troppo spesso. Può darsi. Può anche darsi, invece, che siano gli altri ad avere una idea molto vaga di cosa siano una civiltà e uno stato di diritto. Io son certo che se in Francia, o in Germania, o in Spagna, o in Olanda fosse successo quello che è successo due settimane fa nelle carceri italiane, i giornali e le Tv, e i partiti, e i parlamentari, si sarebbero scatenati, e il governo sarebbe stato costretto a difendersi, e molte teste sarebbero saltate.

In qualcuno di questi Paesi, o forse in tutti, un ministro della Giustizia che si presentasse in Parlamento pochi giorni dopo la morte di 13 prigionieri, e non avesse niente da dire, e balbettasse senza neanche conoscere il nome delle vittime, e dimostrasse di non rendersi per niente conto delle dimensioni della tragedia, sarebbe mandato a casa in quattro e quattr’otto.

Da noi invece un ministro magari salta se si scopre che vent’anni fa ha copiato una frase della tesi di laurea, o se gli intercettano una telefonata nella quale il fidanzato lo tratta male: se deve rispondere di tredici vite umane che erano state affidate allo Stato e che lo Stato ha lasciato morire, allora non è niente di grave. Anzi: il ministro, o chi per lui, ordina al direttore del suo giornale di scrivere un articolo su come si sta bene nelle carceri italiane a riparo dal coronavirus, e quello glielo scrive pure. Bello spiattellato in prima pagina. Non si capisce più se è Marco Travaglio il capo dei 5 Stelle o se è Bonafede il direttore del Fatto. E tutto questo avviene mentre le celle sono sempre più sovraffollate e il governo non muove un dito.

Ieri ho parlato al telefono con Renzi. Che è l’unico leader di partito che sembra interessato a questo problema. Mi ha detto che Italia Viva non mollerà. Che vuole comunque, subito, la rimozione del direttore del Dap. Gli ho detto che forse è anche di Bonafede che vanno chieste le dimissioni. Quanti morti ci vogliono perché un ministro della Giustizia passi la mano?

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.