I giorni scorsi sono stati tra i più difficili e dolorosi della storia penitenziaria recente del nostro Paese. Nel corso delle proteste scoppiate l’8 marzo per le restrizioni introdotte per fermare il contagio del Covid-19, ma anche per la paura del contagio stesso, hanno perso la vita ben 12 persone. Un tragedia senza precedenti. Per capire e dare un senso a quello che è successo è necessario fare un passo indietro. Nelle carceri italiane a fine febbraio i presenti erano 61.230, la capienza era di 50.931 posti, l’affollamento medio del 120.2%, ma in istituti come Larino, Taranto, Como o Brescia l’affollamento superava il 190%. Questo spesso significa tre detenuti in celle di 12 metri quadri e in quasi la metà dei 95 istituti che Antigone ha visitato nel 2019 c’erano celle senza acqua calda, mentre in più della metà c’erano celle senza doccia.

In un ambiente simile le condizioni igieniche sono inevitabilmente precarie anche perché solitamente la disponibilità di prodotti per la pulizia e l’igiene è piuttosto limitata. A questo si aggiunga che nel corso degli ultimi 10 anni l’età media della popolazione è aumentata significativamente. Le persone detenute di età compresa tra i 18 e i 39 anni, che erano larga maggioranza, sono divenute minoranza mentre coloro che hanno 40 o più anni sono oggi più del 62% dei presenti. Il 31 dicembre 2019 ben 5.221 persone avevano più di 60 anni. Infine c’è lo stato di salute della popolazione detenuta. In uno studio recente il 67% dei detenuti è risultato affetto da almeno una patologia. L’11,5% era affetto da malattie infettive e parassitarie, l’11,4% da malattie del sistema cardio-circolatorio, il 5,4% da malattie dell’apparato respiratorio. Per farla breve, con un quadro simile la diffusione del coronavirus in carcere sarebbe un disastro. E di questo i detenuti sono ben consapevoli.

C’è anche questo dietro le proteste e le rivolte di questi giorni e se è doveroso condannare la violenza e la devastazione, non si può per questo nascondere il problema. Al contrario bisogna affrontarlo al più presto e per farlo Antigone ha tra l’altro avanzato 5 proposte. La prima riguarda le comunicazioni con i familiari, al momento giustamente limitate per evitare i contagi. Il governo ha deciso che si possono superare gli attuali limiti nel numero quotidiano delle telefonate e ha incentivato l’uso più ampio possibile delle videochiamate. Noi suggeriamo che la direzione di ciascun istituto acquisti uno smartphone ogni cento detenuti presenti così da consentire, sotto il controllo visivo di un agente di polizia penitenziaria, una telefonata o video-telefonata quotidiana della durata di massimo 20 minuti a ciascun detenuto ai numeri già autorizzati.

Chiediamo inoltre che l’affidamento in prova in casi particolari, attualmente previsto per tossicodipendenti e alcooldipendenti, sia esteso anche alle persone che abbiano problemi sanitari tali da rischiare aggravamenti a causa del virus Covid-19 e che la detenzione domiciliare di cui all’articolo 47-ter primo comma dell’ordinamento penitenziario, pensata per gli ultrasettantenni, sia estesa, senza limiti di pena, a quegli stessi soggetti a rischio. È per costoro che la diffusione del virus sarebbe più pericolosa, ma al tempo stesso un calo delle presenze avrebbe un effetto positivo su tutto il carcere e andrebbe a vantaggio di chi resta, detenuti e operatori.

Anche per questo suggeriamo inoltre che tutti i detenuti che usufruiscono della misura della semilibertà possono trascorrere la notte in detenzione domiciliare, evitando in questo modo il rientro in carcere. In questo caso non solo si eviterebbero circa un migliaio di ingressi ogni giorno in tutto il Paese ma si libererebbero anche le sezioni di semilibertà, generalmente strutture separate dal resto dell’istituto, che si potrebbero usare per come spazi sanitari autonomi.

Suggeriamo infine che la magistratura, nei limiti del possibile, trasformi i provvedimenti di esecuzione delle sentenze emesse nei confronti di persone a piede libero in provvedimenti di detenzione domiciliare. Evitando anche in questo caso ulteriori nuovi ingressi in carcere. Contenere gli ingressi e favorire le uscite, soprattutto delle persone più a rischio da un punto di vista sanitario, ci sembra urgente e indispensabile per prevenire la diffusione del virus ma anche per farsi trovare pronti, quando dovessero registrarsi i primi casi, a gestirli in condizioni di totale sicurezza.
Il tempo stringe, la tensione e la paura per detenuti ed operatori è enorme ed il peggio potrebbe non essere ancora arrivato.

Carnaio carceri e Coronavirus: appello al Governo di Camere Penali e Riformista. FIRMATE: http://bit.ly/DRAMMA_CARCERI