Rita Bernardini, volto noto del mondo radicale – oggi membro del Consiglio generale del Partito Radicale e Presidente di Nessuno Tocchi Caino – non ha il minimo dubbio. «È urgente, impellente, non più rimandabile il ricorso all’amnistia o all’indulto». Le ragioni, con 27 strutture carcerarie date alle fiamme e teatro di proteste anche violente, sono sotto gli occhi di tutti. L’universo carcerario, vergogna italiana per la quale il nostro Paese è stato condannato dall’Unione Europea, è in rivolta. E mentre si succedono gli incendi, gli scontri, da Palermo a Milano, passando per Napoli, Roma e Modena, dove sono morti sette detenuti, a Foggia a decine riescono ad evadere dal penitenziario e darsi alla fuga. Il ministro Bonafede non si vede e non si sente. Ma ieri mattina ha telefonato a Rita Bernardini. «Mi ha chiesto di raccontargli la situazione delle carceri e io l’ho fatto senza risparmiargli critiche.

È un ministro da cui ho una distanza siderale», ci dice l’esponente radicale. Molti invocano il pugno di ferro per reprimere le proteste. «Bisogna fare il contrario, riconoscere i diritti della popolazione detenuta, isolare i violenti ma capire che cosa sta succedendo in quella terra di nessuno che sono le nostre carceri, luoghi di illegalità dove diritti umani fondamentali non vengono rispettati e si è perso il dialogo con tutta la comunità penitenziaria», risponde Rita Bernardini.  «Il problema numero uno è il sovraffollamento. È impossibile gestire le carceri secondo Costituzione in condizioni di sovraffollamento tale. Siamo arrivati a 63000 detenuti, su 47000 posti disponibili. E nell’ultimo periodo, mentre continuano a portare arrestati, la situazione è perfino peggiorata», dice la presidente di Nessuno Tocchi Caino. «Serve un intervento immediato, un alleggerimento in tempi rapidissimi e appena si potrà, una amnistia. Perché l’affollamento è duplice: c’è quello sulle scrivanie dei magistrati e c’è quello nelle celle. Sia i magistrati sia il personale penitenziario sanno benissimo quanto farebbe bene all’intero sistema il ricorso a formule previste dalla Costituzione quali amnistia e indulto, che mai come oggi sono di evidente e urgente necessità di applicazione», prosegue. Ma è importante ricondurre l’insieme delle situazioni alla ragione.

Le proteste violente devono rientrare, bisogna dare spazio al dialogo. «Per me in questo momento è importante che tutti si attengano alle misure di precauzione sanitaria. Un problema che a nostro avviso va affrontato con misure quali la moratoria dell’esecuzione penale, tanto degli ordini di esecuzione pena che dell’esecuzione della pena stessa, ed anche l’indulto a partire da chi deve scontare brevi pene o residui di pena da espiare, tenuto conto che ci sono 8.682 che hanno un residuo di pena da scontare inferiore ai 12 mesi e altri 8.146 che devono scontare pene tra 1 e due anni». In breve: «Scontiamo la pena di due anni a chi ne ha già scontato una parte in carcere, mandando a casa sedicimila persone e rendendo così possibile la detenzione per gli altri». Le ragioni delle proteste di queste ore sono solo in parte ascrivibili alla paura del Coronavirus. Diciamo che è la goccia che ha fatto traboccare il vaso. «Nelle carceri italiane, già provate dal sovraffollamento, la violazione dei diritti umani è ordinaria amministrazione. Quello che sta accadendo in questi giorni, però, non ha precedenti: impossibile scongiurare il rischio pandemia da Covid-19 ed evitare il peggio». Anche perché non è possibile rispettare, nell’universo carcerario, la distanza di un metro e mezzo. E perché nessuno fa i tamponi a chi si ammala. Non esistono sale di ricovero in isolamento. Gli strumenti sanitari sono pochi e spesso le Asl, sotto la cui competenza ricadono gli istituti di pena, lesinano sul budget da destinare al perimetro carcerario.

«Chi controlla lo stato di salute degli agenti penitenziari? Nessuno. Non esistono i tamponi. Non si verifica chi ha la febbre da Covid-19. E questa idea di sospendere le visite con i famigliari ha acceso una miccia esplosiva».  Effettuare migliori verifiche gioverebbe anche alla salute del personale carcerario, dopotutto. Ma Bonafede non incontra chi lavora nelle carceri, e la cosa ha ormai preso il suo corso. Il sindacato degli agenti di Polizia Penitenziaria chiede infatti un incontro al Presidente del Consiglio, ma non al Ministro. «Con lui non parliamo più, tanto è inutile», fanno sapere attraverso un irrituale comunicato.

Amnistia, indulto. Ma ci sarebbero anche i domiciliari. «Altra cosa che non si dice: molti magistrati di sorveglianza – prosegue Rita Bernardini – non concendono la detenzione domiciliare perché non hanno i braccialetti elettronici. La mancanza di questi braccialetti è uno scandalo tutto italiano. Fastweb ha vinto la gara europea, era pronta a produrre, doveva fare solo il collaudo. Lo deve certificare il ministro dell’Interno. Salvini non lo ha voluto fare, Lamorgese non pervenuta. Sarebbero indispensabili, e il produttore è pronto. Ne devono fornire 15.000, con un costo già stanziato. Ecco, gli italiani questi soldi li hanno spesi, basterebbe pochissimo per avviare la procedura». Un paese civile lo avrebbe già fatto. Ora siamo in emergenza, potrebbe forse essere l’ultima chiamata per il sistema-Giustizia.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.