Non denunciare l’ingiustizia se a esserne colpito è un personaggio noto: perché il legalismo dei piombi uguali per tutti dirà che tu scendi in campo solo per difendere il privilegio di quello lì, mentre dei poveracci ti disinteressi. L’argomento era di moda anche al tempo di Tortora, e giustamente Leonardo Sciascia lo rivoltava spiegando che la fama del personaggio aveva almeno permesso a tutti di vedere come in questo Paese “i giudici potevano fare quel che volevano, distruggere una persona innocente nella reputazione e negli averi e, principalmente, privarla della libertà”.

Ma c’è altro da opporre a questo modo di ragionare (se di ragionamento si può parlare). Ed è questo: va bene, diciamo pure che noi ci mobilitiamo solo quando c’è di mezzo uno che conta mentre dei poveracci non ci interessa nulla. Ma voi? Per i poveracci voi che cosa fate? L’ingiustizia che colpisce i potenti non vi smuove (se non per far festa), mentre di quella che si incattivisce sui disgraziati vi occupate soltanto per denunciare che noi non ce ne occupiamo (cosa peraltro falsa). E allora il ragionamento non fila più e spiega semmai una verità diversa, cioè che non vi importa né dei potenti né di quelli senza nessun potere, e piuttosto vi basta che in galera ci vadano tutti quanti. Questo basta alla vostra idea di giustizia.

Va avanti da decenni, questa solfa. Denunci un caso di ingiustizia e ti dicono che lo denunci solo perché si tratta di un privilegiato, e ti rinfacciano la condizione “di tutti gli altri”. Ma loro per tutti questi altri che cosa fanno? Che cosa fanno per i malati e i morti di carcere? Che cosa fanno per le madri che crescono i bambini in prigione? Che cosa fanno per i tossicodipendenti, per i disturbati di mente, per i miserabili e diseredati, insomma per l’umanità derelitta che affolla le galere? Per tutti questi non fanno assolutamente nulla. Questi promotori della cattiveria giudiziaria equamente distribuita non si accorgono di quanto sia immondo lo scenario sociale che si realizzerebbe nel trionfo della loro idea. L’idea (e oscuramente il desiderio) che le ingiustizie sociali, che pure esistono, le divaricazioni di rango, le disuguaglianze di censo, finalmente trovino composizione nella pena e nelle restrizioni del carcere. L’ingiustizia della galera come soluzione delle ingiustizie nella società libera. Il paradiso sociale garantito dall’inferno della prigione. Col piccolo particolare che non ne viene più giustizia ma una ingiustizia moltiplicata, coi privilegiati a condividere con i poveracci il privilegio del disinteresse comune.