Una vocina, dal mondo politico, si è levata finalmente. Dico una vocina che parli della questione carceri e della strage di sabato e domenica scorsi. Finora silenzio, silenzio. Ieri – inaspettata – si è sentita la voce di Renzi. Vi giuro che non sono renziano, vengo dal vecchio Pci e chi viene dal vecchio Pci è vaccinato contro il renzismo.

Però uno poi prende anche atto dei fatti: a quasi una settimana dalla morte di tredici persone durante una protesta nelle carceri italiane, il mondo politico ancora non ha trovato nulla da dire. Il Pd tace, pensa che il silenzio sia oro in questi casi. Pensa che sia il modo migliore per non perdere voti. Anche da destra non si ode un fiato, o si sentono solo le sagge e isolatissime proteste di qualche parlamentare. La destra liberale resta prudente; feroce, invece, la destra forcaiola, che grida contro i delinquenti e basta. E allora, se c’è un leader che osa finalmente sfidare il senso comune e l’assemblea delle tricoteuse, e rilascia una dichiarazione nella quale si mette dalla parte dei prigionieri (dei prigionieri, ho scritto: non dei rivoltosi), beh, come si fa a non battere le mani?

Trascrivo integralmente la dichiarazione di Renzi: “Abbiamo smesso di fare polemiche, giusto. Ma non possiamo smettere di fare politica e di seguire la Costituzione. Può sembrare una questione di lana caprina, ma è una questione di civiltà politica e giuridica. Ed anche per questo dico a tutte e tutti di guardare con grande attenzione a ciò che sta accadendo nelle carceri. La civiltà di un Paese si misura dalla qualità del proprio sistema carcerario. Ci sono stati tredici morti in carcere in una settimana: chiedere che si dimetta il direttore dell’amministrazione penitenziaria è il minimo sindacale. Oggi i media parlano di altro, comprensibilmente, ma questa è una battaglia che noi non molleremo. Mai”.

Se è vero, cioè se è vero che finalmente un partito, anche se un piccolo partito, si mette a disposizione della battaglia per i diritti dei prigionieri, e decide di non lasciare sole le piccole truppe radicali (le uniche, da anni, pannellianamente schierate sul campo) è comunque una gran buona notizia.

Tredici morti durante una rivolta in carcere in Italia non c’erano mai stati. Sappiamo pochissime cose di loro. Il ministero non sembra affatto interessato alla questione. Non sa, il ministro, che non era mai successo. Quasi mezzo secolo fa, nel maggio del 1974, ci fu la rivolta nel carcere di Alessandria stroncata nel sangue dagli uomini del generale Dalla Chiesa. Ci furono sei morti. Cinque prigionieri e un assistente sociale. Una carneficina. Per giorni e giorni i giornali non parlarono d’altro. La lotta armata era agli albori, era in corso il sequestro Sossi, cioè la prima azione clamorosa delle Brigate Rosse (Sossi era un magistrato, fu tenuto sequestrato per tre settimane e poi liberato in cambio della promessa della liberazione di alcuni detenuti comuni che si erano dichiarati politici). Iniziavano gli anni di piombo. Il grado di violenza, anche letale, che permeava la società italiana, era infinitamente più alto di oggi. Anche i morti si contavano a centinaia ogni mese, quasi dieci volte più di adesso. La vita umana contava meno, per il senso comune, molto meno. Nella lotta politica l’omicidio era un’opzione che molti praticavano, non solo nei gruppi terroristici. Eppure quei sei morti fecero molto rumore.

A quasi sette giorni dall’inizio della protesta sappiamo veramente molto poco. Al momento il garante delle carceri conosce i nomi solo di dieci vittime. Sa che sette di loro erano stranieri (quindi valevano meno?). Sa che il più giovane aveva 29 anni e il più vecchio 42. Sa che la metà di loro erano in attesa di primo giudizio, cioè, a norma di legge, completamente innocenti, erano degli innocenti affidati alle cure e al controllo dello Stato, resteranno comunque innocenti perché il processo non si svolgerà mai, e saranno a tutti gli effetti degli innocenti lasciati morire dallo Stato che li aveva presi in custodia. Sappiamo anche che una delle persone morte sarebbe dovuta uscire dal carcere tra due settimane. Sappiamo che alcune delle vittime sono morte durante il trasferimento ad altre carceri. Sappiamo che negli ultimi giorni sono stati trasferiti oltre 6000 detenuti. Sappiamo che nonostante le molto meritevoli iniziative di alcuni dirigenti delle carceri e magistrati di sorveglianza, il sovraffollamento delle nostre prigioni è a livelli inammissibili. Sappiamo di avere rivolto, insieme alle Camere penali, un appello al governo perché vari un provvedimento urgente che in pochi giorni potrebbe permettere l’uscita dalle prigioni di circa 20 mila detenuti con grado di pericolosità uguale a zero.

E poi sappiamo del silenzio della politica. Barricata in casa. Terrorizzata. Renzi ha rotto questo silenzio. Qualcuno lo seguirà?

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.