Troppo tardi, troppo poco, troppe esclusioni, troppa burocrazia.  Questo è il giudizio che mi sento di dare sulle misure prese dal governo per fronteggiare l’emergenza coronavirus nelle carceri. Nel decreto-legge entrato in vigore ieri mattina bisogna arrivare agli articoli 123 e 124 per trovare qualcosa che riguardi la necessità di ridurre il sovraffollamento nelle celle dei 190 istituti penitenziari italiani. L’articolo 123 prevede una forma di detenzione domiciliare per coloro che devono scontare una pena (o un residuo pena) inferiore ai 18 mesi. La platea potrebbe essere importante (12-13 mila detenuti) se non ci fossero tutte le esclusioni già previste dalla Legge 199/2010 e quelle aggiuntive scritte nel decreto di ieri.

Nella relazione tecnica circolata tre giorni fa (mentre la norma era in corso di elaborazione), il contingente di detenuti stimati come beneficiari era di un massimo di 3/4000 unità, il che sta a significare che la riduzione del sovraffollamento prevista dalla norma è del tutto inadeguata ad affrontare la realtà attuale di circa 14.000 detenuti in più rispetto ai posti regolamentari disponibili. Ma c’è di più e di peggio. La versione definitiva del decreto prevede che chi ha una pena residua superiore a 6 mesi debba necessariamente scontare l’anno residuo con il braccialetto elettronico. Ma i braccialetti elettronici non ci sono!

E non ci sono per colpevole omissione dei governi Conte 1 (quando ministro dell’interno era Salvini) e Conte 2 (ministro dell’interno Lamorgese) che non hanno effettuato il previsto collaudo dopo che Fastweb (ben 15 mesi fa) si era aggiudicato l’appalto con gara europea. Ecco una scandalosa e colpevole omissione che mi auguro sia velocemente riparata con le procedure d’urgenza già contemplate per fronteggiare l’emergenza.

Mentre errori, omissioni e sottovalutazioni si susseguono, quel che non doveva accadere è successo: il virus ha fatto il suo ingresso in carcere. Si ha infatti notizia di 10 detenuti e 15 agenti contagiati e queste sono le tardive informazioni che filtrano da un’istituzione “oscura” e abbandonata quale è il carcere. I rappresentanti istituzionali, in primo luogo il presidente del consiglio Conte e il ministro della giustizia Bonafede, non possono non sapere che tutto ciò che non è stato fatto per evitare il diffondersi del contagio in carcere configura ipotesi di reato molto gravi.

Gli strumenti legali e costituzionali per intervenire c’erano e ci sono. Il Riformista e il Partito Radicale lo hanno proposto con un appello alle istituzioni volto ad ottenere un urgente provvedimento di amnistia e di indulto che ha già raccolto prestigiose adesioni. Ignavia e codardia devono essere bandite nella tragedia umana in corso in Italia e nel mondo.

«Caro Partito Radicale – mi ha scritto con calligrafia infantile il 5 marzo scorso un giovane detenuto padre di tre bambini piccolissimi ristretto nella casa circondariale di Ferrara – spero che lo Stato italiano abbia pietà e non abbandoni tutti i detenuti. Non è uno scherzo questo virus, “corona virus”. Dobbiamo pagare i reati, è giusto, ma arrivare al punto di farci morire in carcere mi sembra esagerato». Mai come ora sento così vero e profondo l’evangelico “chi è senza peccato scagli la prima pietra contro di lei” (l’adultera).

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