Gian Carlo Caselli dice che è “urgente” l’autoriforma della magistratura. Perché? Cito testualmente: «Per evitare o per giocare d’anticipo rispetto a proposte che potrebbero essere non di riforma, ma di vendetta nei confronti della magistratura, da parte di chi non ha troppo gradito la sua attività indipendente». E come si fa a giocare di anticipo ed evitare che gli “esterni” mettano becco in vicende (cioè il proprio potere) che devono restare di pura competenza della stessa magistratura? Cito ancora testualmente: «Offrendo la massima collaborazione agli organi competenti, a partire dal ministro». A me pare che in questa dichiarazione, forse appena un po’ ingenua, di uno degli esponenti della magistratura (oggi in pensione) che ne ha rappresentato al meglio la storia degli ultimi 25 anni (e cioè l’ex Procuratore di Palermo e di Torino ed ex esponente del Csm) ci sia la chiave di volta per capire bene, senza pregiudizi, cosa sia esattamente questa crisi devastante scoppiata con il caso Palamara.  Caselli in pochissime parole esprime quattro concetti, limpidamente. I primi due sono concetti – diciamo così – tattici. Il terzo è strategico. Il quarto è “di corporazione”. Vediamoli.

Primo: giochiamo di anticipo se vogliamo evitare una riforma. L’idea è chiarissima, se la riforma ce la facciamo da soli sarà una riforma che ci è congeniale. Vantaggiosa. Se invece lasciamo che sia il Parlamento a mettere le mani sulla Giustizia, rischiamo di restare fuori, e di dover subire una riforma radicale.

Secondo concetto (ancora tattico): per ottenere questo risultato dobbiamo allearci ora (“urgentemente”, dice Caselli) con il ministro. Non c’è bisogno di spiegare il perché. Il ministro Bonafede è espressione politica della magistratura e si trova in una condizione di forte condizionamento da parte del partito dei Pm. E in più gode dell’appoggio dei 5 stelle che, anche loro, sono sostanzialmente l’espressione parlamentare dei Pm. Bisogna sfruttare questo momento, perché se cambia la maggioranza, e cambia il ministro, si rischia.

Terzo concetto, strategico. Cosa bisogna salvare? Caselli lo dice: l’indipendenza. Ma quale indipendenza, esattamente? Quella che è emersa dalle tonnellate di intercettazioni realizzare e distribuite dalla Procura di Perugia: l’indipendenza della magistratura da qualunque controllo e da qualunque criterio di selezione al suo interno; e anche dal diritto. Per indipendenza si intende non “indipendenza” nel giudizio (questa è del tutto smentita dalle intercettazioni) ma indipendenza del proprio potere.

E questo è il quarto concetto: evitare la riforma nel senso di evitare una riforma che riduca il potere incontrollato dei Pm e delle correnti.
Del resto è evidente, scorrendo le varie proposte che vengono soprattutto dal duo Travaglio-Bonafede (scherzosamente, ma non tanto, nei giorni scorsi abbiamo ipotizzato che Travaglio sia il ministro e Bonafede il sottosegretario), che nessuna idea di riforma immaginata dal partito dei Pm (e dunque anche dall’attuale maggioranza di governo) intacca minimamente il potere dei Pm né quello delle correnti. Il partito dei Pm che oggi appare scompaginato dallo scandalo – sebbene sia in buona parte protetto dalla grande stampa – vuole che non siano nemmeno prese in considerazione le proposte di riforma reale della magistratura. Per esempio la separazione della carriere, per esempio la responsabilità civile, per esempio la fine dell’obbligatorietà dell’azione penale, per esempio la riduzione della possibilità di arresti preventivi, per esempio una ragionevole riforma/riduzione delle intercettazioni che ormai stanno infestando l’Italia e facendola assomigliare sempre di più alla Germania comunista degli anni Settanta o alla stessa Italia di Mussolini.

Caselli in pochissime righe ha sintetizzato la strategia del partito dei Pm. Che è uscito, sì, indebolito dallo scandalo ma, paradossalmente, spostato su posizioni più giustizialiste di prima. Il ritorno di un esponente davighiano al vertice dell’Anm, i nuovi patti tra correnti per evitare il ribaltone, l’alleanza di ferro, omertosa, con i grandi giornali che a questo punto sono diventati una specie di succursale del “Fatto”, cioè dell’organo ufficiale del partito dei Pm, tutto questo è un avviso di burrasca, cioè di peggioramento, non di miglioramento, del clima da stato autoritario in mano ai Pm. Il consigliere di Area, Cascini, che è stato appena sfiorato dalle intercettazioni, anche lui ieri ha parlato, per scongiurare la fine dell’Anm e per spiegare, con toni molto diversi da quelli di Caselli, come sia necessaria una riforma profondissima di tutto il sistema. Ha ragione Cascini. Non so però se si rende conto di un fatto ovvio, elementare: la degenerazione del sistema è dovuto – come sempre accade – a due fatti molto semplici: l’aumento sconsiderato dei poteri delle Procure e la chiusura in casta della magistratura.

Quando si usa la parola autoriforma, si intende esattamente questo: siamo casta, siamo “bramini”, guai se qualcuno immagina di poterci avvicinare. I non magistrati, “ i Dalit”, o i “Paria” restino lontani. E invece, caro Cascini è esattamente il contrario: o i Dalit si ribellano e dicono basta alla casta, e voi accettate di perdere una parte considerevole del vostro potere incontrollato, che è un potere sulle vite umane, o la magistratura sarà sempre più un luogo di corruzione e di sopraffazione, e l’Italia sempre meno un paese democratico. Autoriforma è una parola insensata. Per farlo capire bene a voi: è come se un imputato chiedesse l’autoprocesso…

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.