Il 21 luglio Luca Palamara dovrà comparire davanti alla commissione disciplinare del Csm per essere giudicato. È stato il Procuratore generale della Cassazione a chiederlo. Sarà un processo in piena regola. Probabilmente molto diverso da tanti altri processi tenuti in questa sede. La sezione disciplinare del Csm, tra tutti i possibili tribunali, è certamente il più generoso. Gli imputati sono solo magistrati, la pubblica accusa è sostenuta da magistrati e la difesa, di solito, da ex magistrati, i giudici sono magistrati, la sentenza, salvo ragioni speciali, è l’assoluzione o il perdono.

I casi più famosi di assoluzione dei quali si è parlato recentemente sono quelli del Pm John Woodcock, che era accusato di avere interrogato un testimone, che in realtà stava per diventare imputato, senza l’avvocato e di avergli fatto capire che se non parlava finiva a Poggioreale, e poi di avere rilasciato un’intervista a Repubblica, violando dei segreti; assolto due volte. Poi c’è il caso del quale parliamo anche oggi, del giudice Esposito che anticipò in una intervista le motivazioni di una sentenza (guarda caso quella contro Berlusconi) ma anche lui, dopo molti rinvii (credo sette) e un ragionevole cambiamento dei membri della corte che avrebbe dovuto giudicarlo, fu assolto nonostante l’evidenza indiscutibile della scorrettezza. Stavolta però, con Palamara, il clima è cambiato. la Procura generale della Cassazione vuole la condanna e la condanna vogliono quasi tutti i suoi colleghi. A patto che sia una condanna rapida, senza fronzoli, senza addentellati, e che sia la condanna alla radiazione della magistratura, alla sepoltura di Palamara: deve scomparire.

Perché deve scomparire? E allora ripartiamo dal 21 luglio. Si sa che Palamara, per difendersi, chiamerà al banco circa 100 testimoni. Cioè, Palamara vorrebbe, prima di essere condannato, poter raccontare a tutti come funzionava la magistratura che lui ha conosciuto e che ha contribuito a dirigere, come si facevano le nomine, come si scambiavano i piaceri ( e i poteri), quali fossero i rapporti di sudditanza tra Pm e alcuni giudici, come le correnti avessero in mano il bandolo di tutte le matasse, come molte sentenze e molte inchieste avessero origini non giudiziarie, quali e quanto grandi nomi della magistratura fossero coinvolti in questo gioco, come la stessa Anm fosse non un limpido luogo di trasparenza e di lotta etica ma un punto di incontro dei poteri interni alla magistratura e della loro compravendita e suddivisione, e infine, e anche per riassumere, come funzionasse l’unica Casta (vera casta, fondata sulla cooptazione e sull’autogoverno, e sull’impermeabilità a influenze esterne) che domina il potere, anche il potere politico, in Italia.

Mi rendo conto di avere scritto una frase lunghissima, molto più lunga di quello che è permesso dai normali canoni giornalistici. Ma qui, in questa storia un po’ infame, di normale non c’è quasi nulla, e la lunghezza dei difetti della magistratura italiana è senza precedenti.
Il Csm accetterà i cento testimoni di Palamara o procederà, come ha fatto l’Anm, a un processo sommario? Senza garanzie, senza riscontri, senza nessun anelito né ricerca della verità? Vedete, la materia della quale si dovrà parlare è sconfinata. È un pezzo piuttosto grande della storia pubblica e privata di questo paese. Si tratta di capire se il sistema giustizia, negli ultimi trent’anni (ma forse molti di più) è stato solo sfregiato da alcuni episodi di malcostume e di degenerazione, comunque ad altissimo livello, o se invece è stato un sistema interamente marcio e lontano da ogni criterio di giustizia.

Ed è molto importante scoprirlo, perché non solo dobbiamo dire a migliaia di imputati se i loro processi sono stati giusti o se erano condizionati e teleguidati, ma dobbiamo decidere in che modo recidere il cancro e ricostruire una magistratura credibile, non più casta, non più autoreferenziale, non più tesa a considerare l’indipendenza non un dovere ma un privilegio di discrezionalità e una garanzia di potere assoluto. Capite quanto è grande la partita? Qui si ricostruisce la struttura della democrazia italiana oppure la si distrugge. La sentenza pilotata contro Silvio Berlusconi del 2013, che sicuramente ha deviato il corso della politica italiana e ha cambiato la natura della destra politica, spingendola su posizioni estremiste e xenofobe, è una piccolissima parte del problema.

È una parte molto vistosa, perché riguarda uno dei quattro o cinque più importanti leader politici del dopoguerra, liquidato da una piccola cospirazione giudiziaria. Ma la questione vera è quella generale dell’imbarbarimento della giurisdizione e della sua caduta nelle mani del partito delle Procure, e in particolare di alcune Procure (e giornali annessi). Se i testimoni sono quasi cento o più di cento devono parlare tutti. Palamara deve avere la possibilità di raccontare tutto quello che sa e di indicare quelli che sanno quanto o più di lui. Se non sarà così sarà la fine di ogni credibilità della magistratura italiana. Se lo spettacolo che darà il Csm – come ha fatto l’Anm – sarà quello di un tribunale fascista o sovietico, con la sentenza scritta e la fretta di concludere e di nascondere la verità vera, nessuno più, nessuno mai potrà più, neppure per scherzo, dire di avere fiducia nella magistratura.

Se il Csm non accoglierà tutti i testimoni di Palamara – anche a costo di far durare un anno questo processo, e di svolgerlo in modo trasparente e pubblico – toccherà alla politica intervenire. In modo secco, drastico: non solo con una commissione di inchiesta ma con una riforma che tolga alla magistratura quella indipendenza che ha usato solo per coltivare i suoi privilegi e il suo potere e le camarille che hanno spinto verso l’ingiustizia. Non ci sono più tempi supplementari. O la magistratura si salva accettando di farsi processare, e di essere in parte smantellata, o, insieme ai corrotti, cadranno tutti. Anche quelle migliaia di magistrati onesti che hanno milioni di pregi e un gigantesco difetto: quello di non ribellarsi.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.