Ma se la Procura di Perugia aveva ordinato ai finanzieri del Gico di spegnere il trojan quando Luca Palamara stava per incontrare un parlamentare, perché invece accadde il contrario? Fra le innumerevoli anomalie che contraddistinguono l’indagine a carico dell’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati, questa – certamente – è una delle più clamorose. Il pm Gemma Milani, assegnataria del fascicolo insieme al collega Mario Formisano, dopo qualche giorno che il trojan era stato inoculato nel cellulare di Palamara e aveva iniziato a registrare le conversazioni del magistrato romano, scrive una nota indirizzata personalmente al “Sig. Comandante del Gico di Roma”.

All’epoca il reparto speciale della guardia di finanza era comandato dal colonnello Paolo Compagnone. L’ufficiale superiore ricoprì quell’incarico fino al successivo 9 settembre, allorquando divenne il comandante provinciale della gdf di Roma, sostituendo il generale Cosimo Di Gesù. Per la cronaca, quest’anno Compagnone è stato promosso generale di brigata. Attualmente il comandante del Gico è il colonnello Gavino Putzu.

Dopo aver ricordato che «non sono stati fissati limiti all’utilizzazione del trojan in modalità ambientale», il pm umbro si premura allora di puntualizzare al colonnello Compagnone che «laddove da elementi certi emerga che PALAMARA sia prossimo a incontrare un parlamentare sarà cura di NON (scritto proprio così: tutto maiuscolo ed in grassetto) attivare il microfono». Il pm, per agevolare la comprensione dell’ordine impartito e fugare eventuali dubbi interpretativi, fa anche degli esempi: «ad es. (riferendosi a Palamara, ndr) prenda appuntamento direttamente con un parlamentare o conversando con un terzo emerga con certezza la presenza di un parlamentare o altro soggetto.

In questo caso scatta il “regime autorizzatorio speciale” e quindi le guarentigie in tema di tutela delle conversazioni per i parlamentari della Repubblica. Tutto chiaro? Sulla carta sì, nella pratica no. E già, perché le conversazioni di Palamara con Cosimo Ferri e Luca Lotti, allora entrambi deputati del Pd, sono state tutte puntualmente ascoltate e trascritte dai finanzieri agli ordini di Compagnone. Si tratta di incontri, come si è potuto verificare, non casuali. E che i finanzieri conoscevano all’epoca in “anteprima”, in quanto Palamara, messaggiando o telefonando, aveva fissato in precedenza. Nulla di casuale, insomma. A cominciare proprio dal dopocena all’hotel Champagne di Roma per il quale già nel pomeriggio precedente Palamara e Ferri iniziano a organizzarsi, non solo indicando il luogo ma anche quali persone saranno presenti all’incontro.

La chat fra Palamara e Ferri di quel giorno è chiarissima. Alle 23.16 Ferri messaggia a Palamara: “Hotel champagne (l’albergo dove Ferri alloggiava quando era a Roma, ndr) via principe Amedeo 82”. Alle 23.29 Palamara risponde a Ferri: “Stiamo arrivando tutti”. Come mai, allora, i marescialli del colonnello colonnello Compagnone non hanno spento il trojan? Il pm Miliani ha chiesto chiarimenti ai finanzieri sul perché di questa inosservanza dell’ordine?
Ci sono altre indicazioni che non si conoscono? C’è un fascicolo parallelo? Il messaggio fra Ferri e Palamara è sfuggito ai finanzieri? E perché, soprattutto, queste conversazioni sono poi finite nel fascicolo? Tutti dubbi per i quali al momento non c’è risposta.

Il disciplinare nei confronti di Palamara e degli ex consiglieri del Csm che erano presenti all’hotel Champagne e che poi si sono dimessi è basato quasi esclusivamente su queste conversazioni. Il processo davanti alla Sezione disciplinare è in calendario per il prossimo 21 luglio. Cosa accadrà se dovesse essere appurato che queste conversazioni non potevano essere registrate dai finanzieri del Gico? E infine una curiosità: Raffaele Cantone, il neo procuratore di Perugia, si è già fatto portare il fascicolo per capire come siano state condotte queste indagini che hanno terremotato la magistratura italiana?