Come si potrebbe chiamare un luogo con meno di 10.000 abitanti? Un paese o giù di lì. I magistrati italiani in servizio sono circa 9.000. Non molti in una nazione con un tasso di litigiosità tra i più alti in Europa e che patisce la presenza di gravi fenomeni criminali, spesso organizzati in mafie e consorterie di vario genere. Ma le toghe sono comunque abbastanza per dar vita a ben quattro (forse cinque) sigle associative che hanno una loro vivace proiezione in seno all’Associazione nazionale magistrati e al Csm. Gruppi che periodicamente, anzi con una certa frequenza – tra elezioni ai Consigli giudiziari, al Csm, alle Giunte distrettuali dell’Anm e al parlamentino associativo che recentemente ha defenestrato il proprio ex-presidente – si danno battaglia per contarsi e per pesarsi. L’associazionismo in magistratura vanta una storia illustre e battaglie decisive per l’assetto democratico delle istituzioni. Una storia che, però, sembra giunta al proprio epilogo – non da ora – e che fatica a giustificarsi in nome di un pluralismo culturale ormai sbiadito e appannato da troppe prassi condivise.

Per essere un modesto paesino di 9.000 abitanti la magistratura italiana galleggia su un tasso di conflittualità altissimo (è di poche ore or sono l’ennesimo ricorso al Tar contro una nomina controversa) e ha rivelato un malcostume purtroppo praticato in molti anfratti. Il risentimento e l’avversione che circola tra un numero non esiguo di toghe ha radici difficili da esplorare e, in qualche caso, si alimenta di palesi ingiustizie e insopportabili protervie. Purtroppo non esiste sede giudiziaria di medie e grandi dimensioni che non consumi nelle proprie mure faide associative e professionali di una certa intensità. Le chat pubblicate in queste settimane, dopo l’oblio di oltre un anno, offrono innanzitutto lo spaccato di un clima nella magistratura italiana avvelenato da tensioni, spartizioni, ambizioni spesso smisurate, da litigi e ripicche senza tregua. Più che la corsa alle poltrone, più dei magheggi tra boss delle correnti, è questo il dato che dovrebbe preoccupare l’opinione pubblica. I magistrati esercitano una funzione delicata che richiede sobrietà, serenità, pacatezza d’animo.

Come nessuno si metterebbe nelle mani di un chirurgo che ha appena litigato con l’anestesista o che ha fatto a pugni con un collega, così i cittadini hanno diritto di pretendere per i propri processi una sala operatoria asettica, sanificata da ogni tossina e protesa solo all’accertamento della verità dei fatti. La stragrande maggioranza dei processi civili e penali che si celebrano non ha un rilievo mediatico, spesso non ha neppure un apprezzabile rilievo economico. Tutti questi processi hanno un solo elemento che li tiene insieme: sono importanti per chi attende una decisione, spesso a distanza di anni e spesso dopo aver sborsato molti denari per ottenerla in un’aula di giustizia. E a costoro, alla moltitudine esterrefatta dei cittadini e dei loro avvocati che occorrerebbe volgere lo sguardo in queste settimane per cercare un rimedio efficace a questo vuoto di credibilità che minaccia di ingoiare la magistratura italiana.

Sia chiaro la riforma della legge elettorale del Csm o qualche pannicello caldo in tema di porte girevoli tra politica e magistratura (a proposito a oggi i magistrati fuori ruolo per incarichi politici sono 4, un paio di stanze del già piccolo villaggio) nel giro di un decennio potrebbe anche dare qualche risultato e potrebbe contenere il peso delle correnti nell’autogoverno della magistratura. Ma non sembra questa la necessità più impellente. Né lo è il progetto di attuare furiose epurazioni che pagherebbero il prezzo di una certa dose di ipocrisia visto che tutti sapevano e che le toghe, a spanne, si possono distinguere solo tra chi partecipava al mercato e chi ne restava lontano disprezzandone le regole. Anzi, a ben guardare, v’è il rischio che azioni punitive pulviscolari lascino al riparo da sanzioni qualcuna delle toghe altolocate che sono coinvolte nell’affaire Palamara e i cui nomi hanno pur occupato le pagine dei giornali in queste settimane tra esilaranti attese in piazza con tanto di scorta e improbabili segnalazioni amicali di candidati ritenuti ipermeritevoli. Se dovesse davvero arrivare una purga ad ampio compasso si spera almeno che inizi dalle teste coronate, come in ogni rivoluzione che si rispetti.

In verità il primo obiettivo, quello più impellente, dovrebbe essere il rasserenare il clima tra le toghe e all’interno della magistratura. Da questo punto di vista l’Anm farebbe forse bene a meditare un’adeguata sospensione dei cicli elettorali interni congelando gli organi statutari e limitando le competizioni a quelle che riguardano i soli organi istituzionali (Consigli giudiziari e Csm). Al contempo, forse, sarebbe opportuno attuare una capillare ricognizione nelle proprie sedi più “calde” per tentare la ricomposizione di un clima di serenità e di collaborazione che la stagione delle chat a rate ha solo ulteriormente esasperato.

Questi sono i giorni dell’ira, della resa dei conti, delle probabili chiamate in correità, delle minacce appena sibilate, dei sorrisini malevoli e ammiccanti al pettegolezzo. Un clima davvero poco degno per una Nazione che conta decine di migliaia di morti contagiati, una devastazione economica e sociale imponente e che meriterebbe da una delle principali istituzioni parole e atteggiamenti più composti, rassicurazioni più persuasive e gesti più efficaci. Tra uffici giudiziari in protratto lockdown, cause rinviate, avvocati in subbuglio e dosi quotidiane di pizzini informatici la magistratura è chiamata a uno sforzo ulteriore di impegno e di attenzione verso i cittadini. La peste virale è stata tenuta fuori dai palazzi di giustizia quasi ovunque, ma dentro quelle stanze rischia di allignare per molto tempo un’aria mefitica. I vertici dell’Anm revochino le dimissioni, restino al loro posto e inizino a visitare i lazzaretti in cui si è propagata senza limiti la diceria degli untori e dove servono con dignità la Repubblica tanti eccellenti magistrati. Una vicinanza e un ascolto per uscire dalle mura assediate.