Quale credibilità ha un puzzle privo di tanti pezzi?
Magistratopoli e il trojan “tarocco”: funzionava male, la Finanza sapeva

Il trojan è un “tarocco”. E lo sanno anche i pm e i finanzieri. Nel maxi-calderone del fascicolo d’indagine di Perugia a carico dell’ex presidente dell’Anm Luca Palamara spunta una strana richiesta. Una richiesta che solleva più di un interrogativo sulla reale efficacia del trojan, il micidiale strumento d’investigazione, dallo scorso anno utilizzato anche per i reati contro la Pubblica amministrazione. La richiesta è datata 23 luglio del 2019. Destinatario è Rcs spa, la società di Milano che ha fornito alla Procura di Perugia, dietro lauto compenso, il virus spia che ha trasformato il cellulare di Palamara dal 3 al 31 maggio dello scorso anno in un microfono. Mittente è il comandante del Gico della guardia di finanza di Roma, il colonnello Paolo Compagnone. La nota è firmata dal tenente colonnello Marco Sorrentino, suo stretto collaboratore. «Al fine di aderire a specifica richiesta dell’Autorità giudiziaria (i pm di Perugia Gemma Miliani e Mario Formisano, ndr) pregasi voler specificare gli elementi di dettaglio indicati», scrivono i finanzieri.
In ordine. «Quali siano le modalità di attribuzione dei progressivi ai singoli frammenti di conversazione, con l’interruzione di un progressivo e l’inizio di un altro e se le stesse dal sistema o dall’operatore»; «precisare il motivo per il quale la conclusione di ciascun progressivo non corrisponda alla sospensione del dialogo ma una sua interruzione, nonostante stesse proseguendo»; «precisare se, in giorni e orari di attivazione si siano verificate interruzioni nelle captazioni e, se possibile, indicarne le ragioni». Cosa si nasconde dietro questo linguaggio criptico? Molto semplice: il trojan non registra l’intera comunicazione ma a un certo punto si interrompe e poi riparte. La parte di colloquio che non viene registrata è persa per sempre.
Ma non solo. A differenza delle normali intercettazioni telefoniche, numerate in stretto ordine cronologico di entrata e uscita, nel trojan la numerazione delle conversazione subisce dei “salti”. Lo strumento ha dei buchi nella cronologia, rendendo a posteriori difficile il riascolto della conversazione. Tradotto, è come leggere un libro al quale ogni tanto sono state strappate delle pagine e l’indice è stato cambiato. La domanda a questo punto è scontata: che attendibilità può avere un simile strumento investigativo? Soprattutto nelle indagini per mafia dove, a differenza dei magistrati, gli interlocutori sono notoriamente poco loquaci? Ma soprattutto: perché i finanzieri hanno aspettato il 27 luglio per chiedere a Rcs questi chiarimenti tecnici? Non si erano accorti fin dal primo giorno di utilizzo, cioè dal 3 maggio, che qualcosa non andava? Con quale criterio è stata scelta Rcs?
Chi ha ascoltato le conversazioni di Palamara ha riferito che, una volta attivato, il trojan ha registrato periodi lunghi al massimo cinque minuti e venti secondi. Poi la conversazione ha avuto uno stop per ripartire quindi per altri cinque minuti e venti secondi. Le interruzioni fra una registrazione e l’altra sono denominate “chunk”. Per Rcs la loro durata sarebbe di circa un secondo, nella pratica i secondi sono venti. Un tempo molto diverso nel contesto di un dialogo. La questione non è di lana caprina. Il disciplinare a carico di Luca Palamara, che inizierà al Csm il 21 luglio, si basa quasi esclusivamente sulle risultanze dell’ascolto della conversazione avvenuta nel dopo cena del 9 maggio del 2019 con i deputati Cosimo Ferri e Luca Lotti. La Procura generale della Cassazione ha fatto ampio utilizzo di quei colloqui. E se invece mancasse qualche pezzo?
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