Una sentenza che ha fatto e fa ancora discutere. Parliamo dell’assoluzione di Antonio Esposito davanti alla Sezione disciplinare del Csm per l’intervista rilasciata al Mattino all’indomani della lettura del dispositivo di condanna nel 2013 a carico di Silvio Berlusconi. Il Csm, in casi analoghi, pare abbia avuto un diverso orientamento, sanzionando l’incolpato. Ed infatti il procuratore generale aveva chiesto al termine della requisitoria la “censura” per Esposito. Di diverso avviso il Csm secondo cui l’intervista era stata “inopportuna” ma essendo “la valutazione di opportunità un giudizio di valore che deve restare fuori dall’iter logico-giuridico che fonda l’accertamento di responsabilità disciplinare”, Esposito doveva essere assolto. Ma non solo. “Escluso che la condotta posta in essere fosse finalizzata a ottenere pubblicità e che le dichiarazioni fossero state veicolate attraverso canali di comunicazione personali o privilegiati, qualunque possibilità di ravvisare una responsabilità disciplinare viene meno, anche in considerazione delle particolari circostanze in cui il fatto venne ad inserirsi”. Infatti, “un conto è auspicare che Esposito – che si era visto dare del bandito solo perché aveva fissato l’udienza nel pieno rispetto delle regole – mantenesse il più assoluto riserbo sulla vicenda, altro è pretenderlo, prescindendo dalla valutazione del contesto in cui la sua condotta venne ad inserirsi”.

Occorre considerare la scriminante del dovere di “difendere la funzione svolta” e la “necessità di respingere il pericolo concreto ed attuale di un danno grave all’onore e alla dignità della sua persona, reiteratamente e gravemente aggredita prima e dopo la definizione del processo”.
E poi non esiste “una chiara regola che riservi all’ufficio stampa della Cassazione l’esclusiva dei rapporti con i giornalisti e l’impossibilità di trovare nel solo dovere di riserbo un limite alla estensione del diritto costituzionalmente garantito di manifestazione del pensiero” in quanto “la violazione di tale canone di comportamento per ciascun magistrato è irrilevante come fonte di responsabilità disciplinare”. Ci vollero circa 50 pagine di motivazioni alla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura per assolvere, il 15 dicembre del 2014, Esposito. I rumors dell’epoca raccontano di una camera di consiglio alquanto turbolenta.

L’ex presidente dell’Anm Luca Palamara, che era componente di quel collegio, intervistato sul punto questa settimana ha dichiarato sibillino che ci sono “dei fatti rispetto ai quali deve essere interesse di tutti chiarire e comprendere che cosa è accaduto”. Cosa accadde realmente? Pressioni esterne? Dei “condizionamenti” da ambienti istituzionali? Palamara è tenuto al segreto della camera di consiglio e non può parlare. Leggendo le motivazioni della sentenza non si può non percepire la difficoltà nel percorso argomentativo di arrivare ad un verdetto assolutorio nei confronti del magistrato che, con la sua decisione, aveva cambiato la storia del Paese. Il 5 agosto 2013, pochi giorni dopo aver definito con lettura del dispositivo il processo penale nei confronti di Berlusconi, Esposito aveva rilasciato un’intervista al quotidiano della sua città, Il Mattino di Napoli, in gran parte dedicata a ricostruire i passaggi essenziali del giudizio di legittimità.

L’episodio scatenò immediatamente la polemica politica. Esposito venne accusato di aver violato il segreto della camera di consiglio e, indebitamente, anticipato il giudizio, descrivendo per sommi capi il contenuto della sentenza prima che questa fosse depositata.Un comportamento ritenuto gravemente scorretto sul piano deontologico dal momento che il giudice era venuto meno al dovere di riserbo che grava sui magistrati e al codice deontologico dell’Anm. La sua condotta venne giudicata fortemente imprudente e suscettibile di arrecare grave danno alla intera magistratura. L’allora primo presidente della Corte di Cassazione, Giorgio Santacroce, fu costretto a intervenire pubblicamente per stigmatizzare l’accaduto.

Il processo iniziò il 25 febbraio 2014. Come spesso capita in questi casi, l’iter fu alquanto turbolento. Il collegio iniziale non riuscì a terminare l’istruttoria prima della scadenza della consiliatura e il dibattimento venne concluso dal nuovo consiglio. Esposito portò molti testimoni. Difendendosi da solo, nelle battute finali del processo ricusò anche i giudici che poi lo assolsero ma non senza averlo prima severamente redarguito. “La rilevanza della materia processuale e i prevedibili suoi riflessi sul quadro politico nazionale avrebbero lasciato prevedere tutto ciò che ne seguì, a cominciare dal fatto che le dichiarazioni rese potessero essere stravolte, adattate e strumentalizzate da un giornalista interessato ad enfatizzare una dichiarazione assolutamente scontata per montare un caso”, scrisse il collegio presieduto da Giovanni Legnini. Senza contare “gli effetti nefasti per la credibilità della magistratura derivanti dalla diffusione nell’opinione pubblica del convincimento o anche solo del sospetto che una grave irregolarità avesse accompagnato la definizione di un procedimento penale di tale rilevanza sotto ogni aspetto”. Insomma, va bene l’assoluzione ma “un magistrato dell’esperienza di Esposito doveva farsi carico di tutto ciò e astenersi in quel momento dal parlare”.