Non mi piace quando si parla di giustizia in tv perché ho sempre la sensazione che il finale sia già noto dall’inizio, e cioè che ognuno rimane rigorosamente nella propria posizione: pro o contro la magistratura, e tutto si riduce a quello. Si dicono sempre le stesse cose: non si deve fare di tutta l’erba un fascio; la stragrande maggioranza della magistratura esercita il proprio importante ruolo con serietà e terzietà (come si affannano sempre a puntualizzare tutti gli opinionisti, quasi a volersi proteggere da eventuali conseguenze negative rispetto a quello che dicono); è tutta colpa della politica se ci troviamo con il sistema giudiziario che abbiamo. Giusto, ma alla fine, come nella migliore tradizione italiana, è sempre un match pro o contro i magistrati dove nessuno ha mai alcuna intenzione di passare nell’altra metà campo. La metà campo delle ragioni e dei punti di vista diversi dai propri.

E quindi la tv la vedo poco se c’è la giustizia, però l’altra sera me la sono vista tutta la puntata di Non è l’Arena dove era ospite d’onore Luca Palamara, in un teatrale finale di programma, oltre la mezzanotte, con lui, il protagonista principale di questa saga che noi del Riformista abbiamo chiamato Magistratopoli (ma solo noi, perché la maggior parte dei giornali continua a fare finta di nulla) a spiegare le sue di ragioni, a cercare di far capire che no, non è lui il deus ex machina dell’esponenziale turbine di nomine, promozioni, spostamenti, intrighi e maldicenze che 60mila pagine di intercettazioni hanno scaraventato alla nostra attenzione. E che ci danno il quadro di magistrati molto più occupati con le proprie carriere che con il perseguimento dei reati.

Io la tesi dell’intera puntata non l’ho capita, fra de Magistris che parlava di indagini di parecchio tempo fa e di cui i telespettatori sono all’oscuro e servizi sul Basentini dimessosi da capo del Dap in cui si faceva pensare che non fosse esattamente uno perbene e un Palamara magistralmente incalzato da Giletti, che però ha detto davvero poco.
Una cosa però l’ho capita, e cioè che questa volta la gigantesca resa dei conti fra magistrati e fra magistrati e politica è davvero aperta, e che le dimensioni di questa resa dei conti sono proporzionali a quelle del potere pervasivo, enorme, fuori controllo che la magistratura ha acquisito col passare degli anni e della pusillanimità con cui la politica ha voluto o permesso che questo accadesse. Se questa resa dei conti potrà rivelarsi un’opportunità di risanamento della magistratura stessa, nelle storture che abbiamo potuto vedere, a cominciare dai criteri di elezione del Csm, e di ravvedimento della politica che ha il potere e il dovere di intervenire, dipenderà molto dal grande assente della trasmissione di Giletti, che non è una persona ma un potere.

Il più importante, il quarto potere. Mi riferisco a quel giornalismo giudiziario che tanto protagonismo e anche tanta credibilità ha avuto negli ultimi trent’anni e che è molto presente nelle beghe e nelle brighe che il trojan di Palamara ha evidenziato. Ecco, nell’intera puntata non ho sentito un solo accenno a questo, al ruolo giocato dai cronisti giudiziari (e non solo) e dalle testate più importanti in questi anni di mostri sbattuti in prima pagina, frugati nelle loro vite, violati nella loro riservatezza, distrutti per sempre nella loro reputazione indipendentemente dagli esiti delle inchieste che li hanno travolti. A questi professionisti dell’informazione non è stato dedicato un minuto di attenzione, non solo da Giletti ma quasi da nessuno in queste settimane di scandalo, come se non avessero svolto un ruolo chiave nella storia recente.

Ma come, l’arcinoto e stra-citato circuito mediatico-giudiziario che ha determinato la storia politica italiana facendo gioco a turno a qualche partito, a qualche corrente della magistratura e a qualche gruppo di potere, si rivela in tutta la sua dettagliata articolazione e niente, non se ne parla? Il passaggio sistematico di informazioni dagli uffici di alcuni procuratori ad alcuni cronisti che non dovevano fare altro che impaginare si mostra macroscopico e neanche un accenno? Se ne può finalmente dettagliare la radicata esistenza e si fa finta che non esista, proprio ora che è lì manifesto?

È misterioso questo fatto. Adesso forse tocca alla magistratura passare sotto le forche caudine della condanna sociale, coma da decenni avviene alla politica. Dico forse perché non è detto. Ma il vero potere, il quarto potere, non è neppure sfiorato. È davvero lui il più forte. Dicevo che l’opportunità di fare un passaggio di civiltà e maturità nazionale offerto dai casi Palamara e Di Matteo – Bonafede dipenderà molto dal modo in cui il giornalismo nazionale si assumerà la responsabilità del ruolo svolto in questi anni nel magnificare pedissequamente il lavoro di tutta la magistratura e nel dare in pasto all’opinione pubblica tanti presunti mostri sulla base di materiale investigativo che dovrebbe restare nelle stanze di chi è incaricato di svolgere le indagini. Così come senza la magnificazione dei media oggi la magistratura non avrebbe il protagonismo che sta pagando, altrettanto la non assunzione di responsabilità da parte del mondo dell’informazione contribuirà a non far accadere nulla, e a far rientrare in breve tempo tutto nei ranghi.

Molta informazione ha varcato sistematicamente, da Mani Pulite in poi, i propri limiti deontologici determinando una deriva superficiale e giustizialista, e anche una prassi che nulla ha a che fare col buon giornalismo. Ora lo scoppio del caso Palamara offre l’occasione di una riflessione che però non sta cominciando: non un “chiedo scusa”, non un’ammissione di violazione della deontologia (che per chi fa comunicazione dovrebbe essere tanto importante quanto quella dei medici, dato che tocca la reputazione e l’incolumità “esistenziale” delle persone), non un’analisi o una proposta di consultazione pubblica su come si dovrebbe svolgere un corretto giornalismo nell’era del digitale, delle fake news e dell’accesso facile a qualunque tipo di informazioni. Nulla, niente di niente. Silenzio da parte degli editori e dei giornalisti. Le migliaia di articoli e pezzi basati su intercettazioni, brogliacci, veline delle procure che hanno scandito le letture quotidiane degli italiani per lunghissimi anni sembrano non essere stati mai pubblicati, e se sono usciti sono usciti anonimi, senza firma e senza testata.

Il quarto potere ha questo super potere: può puntare il dito contro chi vuole, orientando a piacimento l’opinione pubblica, senza dover mai puntare il dito contro se stesso. Questa è l’occasione per cambiare: può contribuire, accanto a magistratura e politica, a seppellire per sempre il maledetto circuito mediatico-giudiziario e, dopo averne beneficiato per decenni, aiutare a riconvertirlo ad una seria riproporzione fra i poteri dello Stato. Basta rispettare le regole deontologiche (che sono scritte belle chiare), cambiare qualche inopportuna abitudine di reperimento delle notizie e rinunciare a qualche rendita di posizione. Poi tutto scorre.