L'inchiesta
Magistratopoli, il mistero delle conversazioni sparite tra Palamara e il giornalista del Corriere della Sera
Ci sono due conversazioni nello scorso anno che possono cambiare il corso dell’indagine di Perugia. Sono quelle fra Luca Palamara, l’ex presidente dell’Anm ed ex ras delle nomine al Csm, e Giovanni Bianconi, giornalista di giudiziaria del Corriere della Sera. La prima è avvenuta il 7 maggio al bar Settembrini in zona piazzale Clodio, la seconda qualche giorno più tardi, il 21, nell’ufficio di Palamara in Procura a Roma. Le due conversazioni, registrate con il trojan, non sono state mai trascritte dal Gico della guardia di finanza che su delega della Procura di Perugia condusse le indagini a carico di Palamara che terremotarono il Csm. Chi ha avuto modo di sentirle è rimasto molto sorpreso visto che quanto riferito da Bianconi si è poi puntualmente avverato.
Andiamo con ordine. Il 7 maggio i due fissano di incontrarsi di persona verso le 17. Dopo i saluti di rito, Bianconi avrebbe detto a Palamara che il procuratore generale di Firenze Marcello Viola, all’epoca uno dei tanti candidati alla successione di Giuseppe Pignatone alla Procura di Roma, non sarebbe gradito. Anzi, ci sarebbero pressioni contro la sua eventuale nomina. Il 21, invece, sempre Bianconi chiede conferma a Palamara se gli atti dell’indagine di Perugia sono stati inviati al Csm e illustra al pm romano il perché sia finito nel mirino. Il motivo principale sarebbe l’alleanza che Unicost, la corrente di centro di cui Palamara era il dominus, aveva stretto con Magistratura indipendente, il gruppo di destra legato a Cosimo Ferri. Questo accordo non sarebbe gradito dalla sinistra giudiziaria di Area con cui Palamara aveva per anni fatto accordi, come poi emerso, per la spartizione degli incarichi.
Oltre a quella di Viola, non sarebbe gradita anche la nomina di Palamara a procuratore aggiunto. «Voglio essere eliminato per via del merito e non per via giudiziaria», avrebbe risposto Palamara. Il pm romano ha chiesto nei giorni scorsi che le due conversazioni siano trascritte. I pm di Perugia hanno al momento opposto il diniego. In questo scenario da spy story si inserisce in maniera alquanto surreale la decisione di oggi dell’Anm sull’eventuale espulsione dall’associazione di Palamara e Paolo Criscuoli, l’ex consigliere del Csm in quota Magistratura indipendente, costretto lo scorso anno alle dimissioni per aver partecipato alla cena con i deputati Cosimo Ferri e Luca Lotti.
Criscuoli ha deciso di ricusare i giudici. Vari i motivi. Il primo è che l’Anm, «in regime di prorogatio da vari mesi, è incompetente ad adottare una delibera che certamente non rientra nell’ordinaria amministrazione, quale quella della definizione di un procedimento disciplinare nei confronti di un associato». Il secondo è «non aver avuto accesso agli atti dell’indagine della Procura di Perugia, già trasmessi alla Procura generale presso la Cassazione e posti a fondamento dell’azione disciplinare promossa nei miei confronti e richiamati nelle note dei probiviri, per esercitare un compiuto diritto di difesa».
Quindi c’è la posizione di «ciascun componente del Cdc indicato, da organi di stampa, per quanto a mia conoscenza, in assenza di smentita, come interlocutore di Palamara in relazione ad interessamenti, indicazioni, pressioni, accordi aventi ad oggetto, in particolare, l’attività del Csm relativa alla nomina di direttivi e semidirettivi». Fra chi si dovrebbe pronunciare, ad esempio, c’è Alessandra Salvadori, chat n. 787, e Bianca Ferramosca, chat n. 714. E comunque, conclude Criscuoli, già nelle deliberazioni del 5 giugno 2019 e del 13 settembre 2019, tutti i componenti hanno «già manifestato un giudizio».
Quindi «un conflitto di interessi tra la posizione già espressa e quella quale componente dell’organo». Sempre ieri, sul fuori ruolo “politico” di Raffaele Cantone, i cinque anni alla presidenza dell’Anac che gli hanno permesso di diventare procuratore di Perugia, sono interventi i togati di Mi, stigmatizzando l’importanza data dal Csm a questo incarico rispetto all’attività giurisdizionale. Il giorno prima era intervenuto sul punto anche l’ex laico del Csm Antonio Leone, ora presidente del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria.
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