Il fine vita è un tema difficile e doloroso da affrontare: lo è per gli atei così come spesso lo è per chi possiede il dono della fede. Di fronte alla sofferenza che comporta la scelta di interrompere una vita non ci sono risposte, solo dubbi.
Eppure, in un mondo straziato da conflitti, dove il capitalismo investe ormai anche la vita umana, dove difendiamo giustamente la vita dei cuccioli di animali che amiamo come figli, la storia di un cucciolo d’uomo di 8 mesi e della lotta per la sua sopravvivenza, regala una luce di speranza.
Indi Gregory è una creatura inglese afflitta da una terribile malattia genetica degenerativa che blocca lo sviluppo dei muscoli. L’ospedale britannico dove era ricoverata ha sancito qualche giorno fa che per lei non c’è più speranza. I genitori però non si sono arresi e al loro appello ha risposto l’ospedale Bambin Gesù di Roma, che si è detto pronto ad accogliere la piccolina e a tentare di curarla.
Un giudice però, ha deciso che la vita di Indi non era degna di essere vissuta, che sarebbe stato un inutile calvario e ha disposto di staccarle il respiratore. Il trasferimento al Bambin Gesù avrebbe comportato troppi rischi e per questo l’ha negato. E qui, la logica che sfugge: meglio per il giudice farla morire con certezza staccandole il respiratore che tentare di salvarle la vita assumendosi il rischio che muoia durante il viaggio. E ancora, la domanda da porsi: è accettabile che un giudice si sostituisca alla volontà di una mamma e di un papà che combattono per salvarla?
Per il diritto inglese, evidentemente, sì. Oggi Indi avrebbe salutato per sempre questo mondo. Se non si fosse messo di traverso il solito cuore grande dell’Italia. Il Governo italiano, con un atto in extremis, ha concesso la cittadinanza alla piccola. Indi arriverà in Italia. Ed è come se Roma avesse dato al mondo una lezione: il progresso, il capitalismo, i nuovi diritti sono tutte grandi conquiste che abbracciamo. Ma qui, da noi, esistono ancora la compassione e la carità. Esiste ancora la tutela della vita umana. Per questo salviamo vite in mare, per questo salviamo piccole come Indi Gregory.
Ed è questo, in fondo, che ci deve rendere orgogliosi di essere italiani.
