Intervista a Bernardo Atxaga: “Ho sofferto molto per la morte di Sepulveda, come si fa a superare il dolore?”

Bernardo Atxaga, di cui lo scomparso Luis Sepulveda portò le poesie in Italia, è il maggiore autore basco vivente. The Observer lo ha inserito tra i venti scrittori più influenti del novecento. Nel 2019 è stato il primo basco a ricevere il Premio nazionale della lettere spagnole, in Italia invece ottenne il Grinzane Cavour e il Premio Mondello nel 2008 con “Il libro di mio fratello”. Il successo mondiale giunse nel 1988 con “Obabakoak”, opera che The Guardian ha indicato come uno dei dieci migliori libri di sempre ambientati in Spagna, con il quale sono cresciute intere generazioni che tra i banchi di scuola hanno conosciuto Obaba, luogo di fantasia eppure acuta metafora della società. Atxaga in “Obabakoak”, uscito in una nuova edizione per l’editore 21lettere, sciorina l’importanza dell’arte del racconto, celebrando la parola come strumento insostituibile per porre le fondamenta della civiltà, civiltà che se le parole venissero meno sarebbe destinata a dissolversi. Il potere disarmante della parola, lo stesso che esalta tra le pagine del suo best seller, travolse Atxaga che a soli ventisette anni scelse con coraggio di abbandonare qualsiasi altra attività per divenire uno scrittore, rispondendo alla chiamata della lingua, che per lui è vita e politica.

A distanza di molti anni cambierebbe qualcosa di Obabakoak?
“Tornare a ciò che si è scritto in passato è a volte insopportabile. Tuttavia, non mi è successo con Obabakoak. Penso per l’umorismo. Anche se alcuni dei suoi pezzi sono drammatici, il tono generale del libro è brillante. Per qualche motivo, i testi felici e variegati resistono meglio di quelli tristi alla prova del tempo”

Che sensazioni le dà sapere che Obabakoak viene utilizzato nelle scuole?
“Non fidatevi di ciò che succede nelle scuole. Truman Capote si vantava dei milioni di studenti delle superiori che avevano letto “In Wise Blood” in America. Forse aveva ragione, ma non ne sarei così sicuro. Per quanto mi riguarda lo scrittore basco Harkaitz Cano, da studente, anni fa, fece un riassunto di Obabakoak, trasmettendone alcune copie ai compagni di classe. Furono tutti promossi. Quindi è impossibile sapere se gli studenti baschi negli anni hanno letto il libro o solo il riassunto”

Non è stato un azzardo lasciare qualsiasi altra attività per scrivere a soli ventisette anni?
“Conoscete la storia del ladro che è entrato in un bazar per rubare l’oro? Fu subito fermato, e una guardia gli chiese come mai avesse cercato di rubare quando c’erano così tante persone intorno. Quello rispose di non aver visto nessuno, ma solo l’oro. Anche per me fu così. Non volevo lavorare in banca, né come insegnante di liceo. Ancor meno come professore universitario. Desideravo solo scrivere. Il sogno era quello di smantellare il linguaggio che copre lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, il dominio della minoranza sulla maggioranza, e questa possibilità brillava più dell’oro stesso”

La sua è una battaglia per l’egemonia della cultura che dissolva i luoghi comuni?
“Il peggio è rappresentato dagli stereotipi e le idee volgari. Ho avuto un certo vantaggio, perché sono nato, culturalmente parlando, in un angolo. Non ho dovuto scovarli, erano sopra di me, sopra la mia testa, come una lastra. Tra questi, i più pesanti, quelli associati al mondo rurale. Lo stereotipo che mi ha colpito proprio perché sono nato in un paese basco, era in realtà il classismo della peggior specie; il cliché del contadino, la controfigura che la nobiltà cittadina aveva creato per esaltare se stessa e sentirsi, come diceva Colette, un po’ aristocratica. Una volta comprese le cose, però, il peso della lastra scomparve. Domandarsi il perché, analizzare ciò che accade, pensare e ripensare, questa per me è la massima realizzazione”

In più di un’occasione ha affermato che la mente non può essere isolata, e nemmeno la lingua che ne è espressione.
“Nessuno è davvero isolato. Una volta, quando la gente non aveva modo di viaggiare, lo si poteva essere fisicamente. Ma, mentalmente, è impossibile per chiunque essere isolato. Ecco perché posso leggere Leopardi, o Montale, qualsiasi autore italiano e capirli perfettamente. Uno degli ultimi libri in cui mi sono immerso è Etxeko gauzak, la versione basca di “Lessico famigliare” di Natalia Ginzsburg, e in quella sua casa ho trovato molti oggetti che mi sono stati regalati e decorano la mia”

Cosa direbbe a chi semplicisticamente assimila i Paesi Baschi al terrorismo e ne condanna aprioristicamente la lingua?
“Non può essere che ci sia una correlazione così stretta tra ideologia e linguaggio. Ce n’è sempre una, naturalmente. In realtà, nulla è al di fuori dell’ideologia, così come nulla è al di fuori della cultura. Quello che succede è che, a volte, questa ideologia o questa cultura si rivelano invisibili. Quando un bambino giapponese mangia con le bacchette, pensa che sia qualcosa di universale, non ha in mente l’immagine della forchetta. La correlazione tra linguaggio e ideologia è comune e universale, però quando si parla dei baschi, il rapporto viene menzionato come se fosse una stranezza criminale”

E’ vero che si occupa personalmente della traduzione allo spagnolo delle sue opere?
“Circa venti anni fa era una mezza verità. Da quindici, meno di una mezza verità. La persona che traduce i miei libri è Asun Garikano, mia moglie. È insegnante di lingue e traduttrice professionista. Ha tradotto “The Sound and the Fury” di Faulkner, “Treasure Island” di Stevenson… Onestamente, non potrei essere uno scrittore bilingue se non fosse per lei”

Lei lotta per un riconoscimento culturale, prima ancora che politico, dei Paesi Baschi, però al tempo stesso mette in guardia dal potere della lingua.
“Victor Klempererer ha scritto nei suoi diari fin dai tempi in cui era prigioniero dei nazisti, a Dresda durante la guerra mondiale: “la lingua pensa per noi”. Il linguaggio è farcito di menzogne. Se lo usiamo in modo sciocco contribuiamo al trionfo della disumanità”

A tal riguardo cosa pensa del romanzo “Patria” di Fernando Aramburu che ha avuto un così grande successo?
(Non risponde)

Qual è il futuro della cultura basca?
“In futuro ci saranno molti scrittori in lingua basca, in effetti ci sono già. Dopo tutto, la letteratura dipende dalla posizione sociale di una lingua. In questo momento la lingua basca è ovunque. E’ ufficiale. Più ufficiale nella zona spagnola che in quella francese. Inoltre, c’è la possibilità della traduzione, che, come ha detto l’ammirevole Umberto Eco, è la vera lingua dell’Europa. Quindi, insisto, ci saranno molti scrittori baschi. E molti traduttori”

Come sta vivendo la pandemia?
“Il covid ha ucciso Luis Sepulveda. Devo a lui la pubblicazione delle mie poesie in italiano, perché ne ha inserita una nel suo libro “Historia de una gaviota y del gato que le enseñó a volar”. Era un uomo di grande generosità. Ho sofferto molto per la sua morte. Si dice spesso: “Dobbiamo superare le morti che ci toccano”. Sì, ma come si fa? A volte penso di saperlo. Altre volte, non ce la faccio”