La guerra dei 12 giorni fra Iran e Israele si è fermata con l’entrata in vigore del cessate il fuoco voluto dal Presidente Trump e anche chi odia l’inquilino della Casa Bianca sa che Donald non ama le guerre. Lo ha dimostrato nel suo primo mandato, durante il quale gli americani non hanno sparato neanche una revolverata, e continua a farlo ora buttando acqua sul fuoco dei due conflitti ereditati dall’amministrazione Biden. Anche l’intervento sulle tre centrali nucleari iraniane, su Fordow sono stati addirittura usati i bombardieri strategici B-2 Spirit, deve essere visto come una mossa per far cessare una guerra che rischiava di trascinarsi a lungo.

L’impressione sbagliata?

Alla fine, però, l’impressione che rimane è che tutto sia finito e che l’Iran sia rimasto come era prima, che le divisioni nell’opposizione non permetteranno una rivolta capace di dare una spallata al regime degli Ayatollah. Ma si tratta di un’impressione che potrebbe essere sbagliata.
Gli analisti militari e gli esperti di geopolitica, almeno quelli seri, sanno che questa calma, ritrovata e forzata, potrebbe rompersi in qualsiasi momento e presentare scenari come la ripresa della guerra o una rivolta sul modello di quella che cacciò lo Scià Mohammad Reza Pahlavi.
O ambedue le cose in contemporanea. Per avere un’idea di quello che sta succedendo in Iran bisognerebbe osservare con attenzione ciò che accade sulle strade di Teheran e delle altre importanti città. Sono molti i filmati ripresi durante le manifestazioni di protesta che riescono a uscire dalla Repubblica Islamica, ma che purtroppo non ricevono l’attenzione che meriterebbero.

Il punto di rottura

Eppure i segnali ci sono tutti. Ali Khamenei è rimasto nel suo bunker anche dopo l’entrata in vigore del cessate il fuoco e non si è presentato a un’importante cerimonia di lutto. In Iran il mercato sta crollando, i pagamenti sono solo per contante, meglio se in valuta straniera, e gli assegni non vengono più accettati. Segnale questo di profonda recessione, instabilità economica, sfiducia nel futuro e crollo del capitale sociale. Quando il venditore non ha speranza di incassare e l’acquirente non può acquistare i beni che gli occorrono, anche quelli di base, si arriva rapidamente al punto di rottura, al punto di non ritorno. E questo diventa un detonatore che potrebbe far scoppiare disordini in ogni momento.

È giunta notizia, con testimonianze filmate, che manifestazioni guidate prevalentemente da donne, insofferenti a vivere in quel mondo retrogrado e oscurantista, si sono tenute ad Hamedan, dopo che i Basij di Khamenei hanno assassinato due giovani a sangue freddo.
I manifestanti, prevalentemente giovani nati sotto il tallone della dittatura e che non hanno mai conosciuto la libertà, gridavano slogan come “Ucciderò chi ha ucciso mio fratello.” o “Il nostro nemico è proprio qui”. A questo punto possiamo credere, la speranza non muore mai, che se l’opposizione si unisce a fronte unico, magari sotto la guida del Principe ereditario Ciro Reza Pahlavi, presto saranno le vie di Teheran, di Qom e delle altre grandi città a riempirsi di folle che vogliono indietro il proprio futuro.

Michael Sfaradi

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