Accuse reciproche e nuovo caos a 24 ore dalla firma della "pace"
Israele chiude valico di Rafah e blocca ingresso aiuti: “Hamas non ha rispettato patti, mancano 24 salme degli ostaggi”
Valico di Rafah chiuso fino a quando Hamas non restituirà i corpi senza vita degli altri 24 ostaggi, così come previsto dal piano di pace ideato dal presidente Usa Donald Trump e firmato ieri in Egitto. Dopo appena 24 ore, arriva la decisione di Israele che, a partire da domani, mercoledì 15 ottobre, ha deciso di non riaprire il valico che collega la Striscia di Gaza con l’Egitto, perché Hamas non ha mantenuto gli impegni previsti dopo il cessate il fuoco. Il governo guidato da Benjamin Netanyahu ha inoltre deciso che ridurrà la quantità di aiuti umanitari per Gaza nell’ambito delle sanzioni contro il gruppo terrorista.
Hamas non consegna salme ostaggi
Già nella giornata di ieri si sono vissuti momenti di tensione perché Hamas in un primo momento aveva posticipato al pomeriggio la consegna dei corpi senza vita degli ostaggi israeliani, salvo poi restituire solo le salme di 4 dei 28 prigionieri sequestrati il 7 ottobre 2023. Oggi il (nuovo) punto di non ritorno: da una parte le autorità israeliane che lamentano la mancata restituzione di tutte e 28 le salme degli ostaggi morti a Gaza, mentre oggi, dal canto suo, ha rimandato a Khan Younis i resti di 45 palestinesi morti. Dall’altra Hamas accusa Israele di aver violato il cessate il fuoco con nove persone uccise da questa mattina in bombardamenti dell’Idf nella città dei Gaza e a Khan Younis. Tuttavia nella Striscia l’unica resa dei conti in corso è proprio quella di Hamas contro i clan rivali, considerati alleati di Israele.
Le accuse infondate dei terroristi
Hamas avrebbe preteso maggiore tempo per identificare i luoghi dove sarebbero stati sepolti gli ostaggi israeliani in una Striscia di Gaza ridotta a macerie dopo bombardamenti continui. Ma appare difficile credere a questa versione perché il gruppo conosce le abitudini e riti religiosi di Israele anche in tema di commemorazione della vittime. Potrebbe trattarsi dunque dell’ennesima provocazione, arrivata dopo il rilascio di ben 1900 detenuti palestinesi e dopo la firma dell’accordo a Sharm el Sheikh. In supporto di Hamas è arrivata a Gaza anche una task force egiziana che lavora in team con gli israeliani alla ricerca delle tombe.
La situazione è sotto monitoraggio con le famiglie delle vittime che hanno scritto all’inviato speciale americano Steve Witkoff, implorandolo di far rispettare gli accordi presi. “I nostri timori si sono avverati. Le chiediamo di fare tutto il possibile per esigere che Hamas rispetti i suoi impegni” si legge nella missiva.
La guerra tra Hamas e i clan rivali
Intanto, come detto, il fronte militare di Hamas è impegnato in una vera e propria resa dei conti a Gaza con gli altri clan attivi nella Striscia, tra cui i Doghmush, milizia basata nella zona orientale di Rafah e guidata da Yasser Abu Shabab, quella a Khan Younis che fa capo a Hussam al-Astal, membro del clan al-Majida, e un’altra attiva a Jabaliya e Beit Lahiya, nel nord di Gaza, guidata da Ashraf al-Mansi. La motivazione utilizzata dai terroristi del 7 ottobre sarebbe relativa a presunti legami tra questi clan e Israele, legami poco chiari. L’impressione è che Hamas abbia voluto ribadire il proprio ruolo all’interno di Gaza, eliminando possibili rivali e aspettando di capire il proprio ruolo nell’eventuale ricostruzione della Striscia. Ruolo che, stando ai 20 punti del piano di Trump, non è presente.
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