È l’11 settembre 2001. Alle ore 8:46 il volo 11 dell’American Airlines si schianta sulla Torre Nord del World Trade Center a Manhattan. Alle 9:03 il volo 175 dell’United Airlines impatta sulla Torre Sud del World Trade Center. Pochi minuti dopo, alle 9:37, il volo 77 dell’American Airlines colpisce il Pentagono a Washington. Alle 10:03 il volo 93 dell’United Airlines, che avrebbe dovuto colpire la Capitale, precipita nei pressi di Shanksville in Pennsylvania. L’attacco guidato da 19 terroristi di Al-Qaeda provoca complessivamente 2.974 vittime.
Per l’intero globo è un duro colpo. Perdono la vita migliaia di innocenti: padri e madri di famiglia, bambini, semplici impiegati, manager di multinazionali, centinaia di vigili del fuoco e poliziotti che rimangono intrappolati dalle fiamme per salvare altre vite umane. È un attentato al mondo intero senza distinzione di nazionalità, di religione, di origine sociale e di colore della pelle. È un attacco alla cultura della vita e al cuore dell’intera collettività mondiale che si riconosce nel sistema della democrazia e del diritto. Tutto il mondo assiste alle drammatiche scene del crollo delle Torri Gemelle davanti ai teleschermi, collegati in diretta con le immagini che riprendono lo skyline di Manhattan. È una lunga e lenta agonia che coinvolge miliardi di telespettatori, segnando una svolta di come possa essere seguito live un drammatico evento nel globo.
È doveroso scriverlo: a distanza di anni, la memoria dell’11 settembre non ha avuto il riscontro dovuto. Certo, non sono mancate le attestazioni di solidarietà al momento, ma tali sono rimaste. Si è trattato dell’attacco terroristico più grave della storia contemporanea che, nonostante i racconti strazianti dei sopravvissuti e dei soccorritori e gli ultimi istanti di vita registrati delle vittime prima di morire, in poco tempo è caduto nel dimenticatoio.
È seguita l’azione americana in Medio Oriente, durata anni. Si è inferto un duro colpo ad Al-Qaeda e all’Isis. Determinando che la dura lotta al terrore abbia impegnato solo poche democrazie, gli Stati Uniti e Israele. Confrontandosi, senza tregua, verso chi semina sangue nel mondo, che cambia sigla ma ha sempre un denominatore comune: la natura islamica. Che sia Al-Qaeda, Isis, Hamas, Hezbollah, Ḥouthi o altri gruppi terroristici finanziati dall’Iran e dal Qatar. Altri Stati spesso si sono limitati a un ruolo, seppur importante, di sostegno, prevenzione e sicurezza interna. Delegando il lavoro sporco, come ha riconosciuto pubblicamente il cancelliere Merz.
Dopo l’emozione e la solidarietà suscitate al primo impatto, nelle settimane dopo il tragico evento dell’11 settembre si sono evidenziate le prime divisioni, crepe, dubbi e lacerazioni nel ricordo e nelle reazioni. Hanno pesato innanzitutto le tesi di complotto che hanno fatto scopa con un anti-americanismo sempre vivo e vivace nei media e negli opinion makers. Su tale scia si è arricchita la pubblicistica – sia scritta che filmata – con tanto di documentari che mettevano in dubbio la versione ufficiale dei fatti, portando prove di incongruenze e contraddizioni. Il risultato quale è stato? Che oggi tale anniversario è rimosso volutamente, dimenticato, e gode di scarsa attenzione. Non ci sono nel mondo ricordi e celebrazioni.
Una considerazione è ovvia: ciò che subiscono gli statunitensi e gli israeliani non rientra nel Pantheon di taluni movimenti, associazioni che danno attenzione solo a una certa parte del mondo. Si può senz’altro dire che la memoria omessa dell’11 settembre è il preludio di ciò che sta avvenendo per il 7 ottobre 2023. Relegando questi drammatici attentati senza precedenti, commessi dal terrorismo di natura islamica, ai margini della rielaborazione storica, si compie un ennesimo colpo alla verità, alle vittime e a noi sopravvissuti che ne celebriamo la memoria.
