Questo giornale ha dato, in pochi mesi, due notizie di cronaca: in un caso, un giovane extracomunitario sospettato di furti è stato preso letteralmente “a mazzate” con bastoni da una folla inferocita; da poco analoga sorte è toccata a un uomo, che si diceva avere abusato di nipoti minorenni. Percosso da un gruppo di residenti che voleva impartirgli una lezione, rovesciato in un cassonetto dell’immondizia, ne è riemerso preannunciando querela per diffamazione verso chi avrebbe propalato contro di lui notizie turpi; intanto nel quartiere non può tornare.
Qui non si parlerà dei seguiti giudiziari di tali episodi, per i quali ci sono riti, tempi, organi e luoghi deputati, ma si formulerà un ragionamento generale. Una comunità è civile se, tra l’altro, affida a indagini e decisioni di apposite autorità la tutela della sua sicurezza (punizione di colpevoli, assoluzione e risarcimento di innocenti). Diversamente, si tornerebbe all’homo homini lupus di hobbesiana memoria. Alla base di una corretta convivenza c’è un patto di reciproca fiducia tra chi deve reggere una società e chi accetta di farsene guidare, chiamando chi comanda e controlla a farlo rispettivamente in forma elettiva o dopo un vaglio concorsuale di competenza. Si chiama divisione dei poteri, dicono i classici del costituzionalismo e del pensiero politico.
A Napoli – e, quanto ai magistrati, nell’intero Paese – questi presupposti non ci sono purtroppo più. Il vaso di Pandora delle contiguità imbarazzanti tra certi politici e alcuni aspiranti a dirigere prestigiose Procure è stato scoperchiato. Il Sistema, titolo del libro di successo scritto dal direttore di un famoso quotidiano e da un ex potentissimo pubblico accusatore manovriero, cacciato dalla sua corporazione bisognosa di rifarsi una verginità, è messo a nudo. Nessun addebito può muoversi al procuratore capo della città, però il problema è un altro: mentre un ex pubblico ministero, dopo dieci anni di mandato amministrativo la cui brillantezza ognuno può giudicare da solo, cerca ventura altrove, non potendo essere rieletto, un altro (stavolta su un fronte politico locale opposto) ha alimentato per mesi un segreto di Pulcinella: è stato “uno e bino” e, prima di chiedere l’aspettativa, si è chiesto se indossare la toga che si addice alla funzione da lui svolta per anni o immergersi nelle incombenze propagandistiche di quella che spera di esercitare domani. Quanto al centrosinistra, un illustre già ministro e rettore della più antica delle sue università, constatato il disastro dei conti pubblici, inorridisce all’offerta di essere il prossimo sindaco.
Onore alla serietà, anche se un bravo vignettista gli ricorda che, per sapere che il capoluogo della Campania non è Zurigo, non ci voleva la sfera di cristallo. In disparte, la pupilla del primo cittadino uscente si scalda da mesi per raccoglierne il testimone e l’Antico Compagno Ripudiato dai suoi medita (redivivo conte di Montecristo) la rivincita. Napoli è insomma sgovernata, tra un passato che non muore e un futuro che non nasce. Ovvio (tra la camorra e i chiari di luna degli umori populisti che si agitano da tempo nel dibattito politico) che qualcuno si faccia assieme legislatore giudice e comminatire della pena, solo per poco non essendoci scappato il morto. L’unica speranza è affidarsi a Rossella O’Hara: «Domani è un altro giorno». Nel frattempo (insegna il nostro grande Nume) «adda passa’ ‘a nuttata».
