La disabilità non abita a Napoli e dopo 180 giorni la campanella ancora deve suonare per un ragazzino di 14 anni. “Io e mio figlio siamo agli arresti in casa da settembre” è lo sfogo di Manuela Udito, mamma di Samuele, affetto da tetraparesi spastica (una forma di paralisi che coinvolge contemporaneamente la muscolatura volontaria di tutti e quattro gli arti) e da diabete di tipo uno. Samuele è un disabile grave che dalla scorsa estate è iscritto al primo anno delle scuole superiori in un istituto di Napoli, il Giustino Fortunato. Siamo al 15 febbraio è la scuola per lui non è mai iniziata nonostante una ordinanza cautelare del Tar, dopo il ricorso presentato dagli avvocati dello studio legale Mangiapia che seguono la famiglia, abbia sollecitato a fine gennaio le istituzioni a nominare quanto prima un operatore socio sanitario.
Ma Regione e Comune, grazie al solito scaricabarile di responsabilità e alla sempre più fitta palude burocratica, prendono tempo e l’amministrazione guidata da Vincenzo De Luca, che gestisce i fondi della sanità e vigila su come vengono gestiti, ad oggi ancora deve fornire risposte con i legali della famiglia che tra un sollecito e l’altro, in attesa dell’udienza del Tribunale amministrativo regionale prevista a maggio, potranno richiedere un risarcimento economico per ogni mese di scuola negato. Una riparazione dal forte valore simbolico e giuridico, si tratterebbe del primo caso in Campania in tema di scuole superiori, ma assai irrisoria perché corrisponde a poche centinaia di euro al mese. Tanto vale il ‘disservizio’ per gli orfani di dignità.
Samuele vive nel quartiere di Pianura che vanta circa 70mila abitanti ma dove non esiste un istituto superiore. Comunica a gesti (con il bacio dice“sì”, con la lingua dice “no”) e per andare a scuola ha dunque bisogno della presenza di un operatore socio sanitario e non di un operatore socio assistenziale che negli istituti campani rappresenta comunque un miraggio. I numeri sono impietosi: il target è di un osa ogni quattro bambini, la realtà è invece mortificante, spesso c’è un operatore per 20 minori. Figure che dovrebbero materialmente aiutare i bimbi disabili durante le attività nell’orario di lezioni. Professionalità sempre più rare, soprattutto alle superiori dove praticamente le istituzioni fanno di tutto per ostacolare le possibilità di frequenza di un ragazzino disabile. “Molti genitori preferiscono lasciarli alle medie per qualche anno per poi tenerli in casa perché lo Stato, almeno qui al Sud, non offre alternative” commenta invece un papà che tutte le mattina accompagna il figlio in carrozzella a scuola con i mezzi pubblici.

La donna è presidente di una associazione che porta il nome del figlio. Si chiama “C’era una volta un principe di nome Samuele” ed è portata avanti, insieme alla vicepresidente Angela Scarallo, con un gruppo di circa una ventina di genitori che provano a tamponare la carenza di fondi per le terapie con cene di beneficenza e vendita di gadget per aiutare famiglie sempre più disperate. Basti pensare che per ottenere la prescrizione delle terapie Aba, quelle destinate ai bambini con la diagnosi di disturbo dello spettro autistico, bisogna chiedere un miracolo a San Gennaro. “In questi sei mesi siamo stati completamente abbandonati e solo grazie alla nostra associazione siamo riusciti a sostenere le spese di assistenza”. Una situazione paradossale in un comune, come quello di Napoli, che ha come assessore alle politiche sociali Luca Trapanese, papà single della piccola Alba, la bimba di sei anni nata con la sindrome di down (in questi giorni è uscito su Sky anche il film che racconta la storia). “Non chiediamo favori, chiediamo solo che venga garantito un nostro diritto” conclude Manuela.
