La Francia sta vivendo una delle peggiori crisi finanziarie della sua storia, ma i francesi lo ignorano. Al momento. Arriverà, infatti, il tempo nel quale bisognerà fare i conti e le premesse dovrebbero destare molto allarme. Dopo le dimissioni lampo di Sébastien Lecornu, la crisi politica di Parigi si aggrava e arriva a una dimensione che l’opinione pubblica francese e, in parte, quella europea sembrano ignorare.
I numeri
Il debito pubblico francese in termini assoluti è più alto di quello italiano. Nel 2025 raggiungerà il valore di 3.345 miliardi di euro, circa 300 miliardi più alto di quello del Belpaese. Nella valutazione economica, però, conta il rapporto con il Prodotto interno lordo: il debito/Pil francese è al 116%, mentre quello italiano è intorno al 136%. Molti crederanno che il paragone è azzardato. Non è così. Da tempo, infatti, la Francia accumula deficit molto più alti di quelli di Roma. Basti pensare che quest’anno sarà pari al 5,4%, mentre quello italiano sarà al di sotto del 3%.
Cosa significa? Che i nostri “cugini” continuano a far crescere il loro debito e che per finanziare la spesa pubblica è necessario ricorrere sempre di più a mercato. Non va dimenticato che negli ultimi vent’anni il debito pubblico d’Oltralpe è passato da circa 800 miliardi di euro agli attuali 3.300: una crescita gigantesca che non vede eguali in Europa, nemmeno nella tanto vituperata Italia.
Gli interessi
Quando cresce il debito pubblico crescono anche gli interessi da pagare per poterlo finanziare. È una semplice regola dei mercati: se chiedi più soldi, diventi più rischioso, devi pagare più interessi. Il risultato dell’aumento del ricorso al mercato da parte dei francesi è che il tasso di interesse per finanziarsi è cresciuto enormemente. Tanto che lo spread tra i nostri Btp e i loro Oat, titoli del debito francese, si è azzerato. Anzi, nelle quotazioni degli ultimi giorni a volte i nostri titoli di Stato sono stati prezzati a un tasso più basso, quindi considerati “più sicuri” dagli investitori. Giova ricordare, inoltre, che la società di rating Fitch ha declassato l’affidabilità del debito parigino passandolo ad A+. Nelle prossime settimane toccherà a Moody’s e Standard & Poor’s valutare la situazione finanziaria e, alla luce dell’ennesima crisi politica, non ci si attende nulla di buono.
L’export
La situazione finanziaria, però, è solo l’immagine di cosa accade nell’economia reale al di là delle Alpi. Uno dei dati più clamorosi dell’economia francese riguarda la bilancia dei pagamenti. Dal 2007, infatti, la Francia importa più di quanto esporta. Ciò comporta una costante perdita di valore per il Paese, con timide eccezioni nel 2019 e nel 2024.
A questo va aggiunto un processo di deindustrializzazione che colpisce il Paese in maniera molto più forte ad esempio dell’Italia. Basti pensare che il valore aggiunto della produzione industriale francese è passata dal 14,7% del 1995 al 9,4% del 2024, mentre in Italia è passato dal 19,2% al 14,6%. La deindustrializzazione colpisce entrambi i Paesi, ma in Francia la situazione è decisamente più grave, visto che comunque il Belpaese mantiene una certa vocazione alla manifattura. Un elemento di forte incertezza, inoltre, è la tenuta sociale del Paese con scioperi, proteste e polarizzazione arrivati a livello di guardia.
Le riforme
Per invertire la rotta, servirebbero riforme strutturali. Per intenderci: le stesse riforme messe in atto in Italia nel 2011, quando Mario Monti fu chiamato a governare un esecutivo tecnico. In Francia, però, l’opinione pubblica non è pronta per questo. Senza contare che sia l’estrema destra che l’estrema sinistra si oppongono con fermezza a ogni ipotesi di taglio del debito pubblico. Allungare l’età pensionabile, tagliare l’assistenza sociale, migliorare la sanità pubblica sono solo nomi tecnici che nascondono una necessità non rinviabile: ridurre il deficit pubblico in modo che, nel lungo tempo, anche il debito possa tornare ad essere sostenibile.
Ma chi lo farà? I francesi voteranno una forza politica che li metta davanti alla verità, cioè che il sistema finanziario ed economico non è più sostenibile? Una domanda che, al momento, ha solo risposte negative. Potrebbero però pensarci i mercati a convincere l’opinione pubblica, magari facendo salire lo spread a livelli allarmanti proprio come la storia dell’Italia insegna. Stavolta tocca ai francesi “fare i compiti a casa”, anche perché il loro maggior alleato, la Germania, non se la passa meglio, visto che è uno dei pochi Paesi europei in recessione.
