La guerra fa bene all’economia russa: il piano di riconversione industriale in caso di pace

Russian President Vladimir Putin, accompanied by Deputy Prime Minister Vitaly Saveliev, Industry and Trade Minister Anton Alikhanov and Transport of the Future CEO Yuri Kozarenko visits the Samara research and production centre for unmanned aircraft systems in Samara, Russia, Tuesday, Jan. 28, 2025. (Vyacheslav Prokofyev, Sputnik, Kremlin Pool Photo via AP) Associated Press/LaPresse

Un’industria bellica è un’industria che funziona. Perché la seconda genera la domanda alla prima. Lo conferma l’economia russa che ha chiuso il 2024 con una crescita del Pil del 3%. Attenzione, però. Il dato assoluto non è sufficiente per far festeggiare gli amici di Putin. Anzi.

La spesa

Le stime di crescita per quest’anno si riducono al 2%, per calare poi all’1% nel 2026. Già questo è segno che il Paese ha sempre meno fiato. A questo va aggiunto che le spese militari, dall’inizio del conflitto, sono sempre più centrali. Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), nel 2024, sono state del 4-4,5% del Pil. Con un aumento tendenziale del 24%. Per assurdo si potrebbe far notare che neanche Putin arriva al 5% come richiesto da Trump. Dal 2022, il Cremlino ha speso 211 miliardi di dollari. Per cosa? Munizionamento, ovviamente, macchinari e mezzi pesanti. Questi di produzione propria. Poi, per la componentistica e i device più sofisticati – microchip e droni, per esempio – è ricorsa alle importazioni. Cina, Corea del Nord e Iran, soprattutto. Anche su questo bisogna riflettere. Perché vuol dire che A) la Russia non dispone di una sovranità militare; B) Mosca ha messo mano alle sue riserve di dollari; C) l’export militare, voce in attivo prima della guerra, si è bloccato.

L’economia civile

A fianco alle armi, c’è poi l’economia civile. Questa non ha paraventi. È palese che, dall’inizio del conflitto, non se la stia passando bene. Anzi, l’inflazione e il deprezzamento del rublo risalgono già al 2014. Anno dell’auto-annessione della Crimea. A rafforzare l’analisi, il Centro Einaudi ha confrontato il reddito nazionale netto per abitante di quattro Paesi. Due in pace, Cina e Polonia. Due in guerra, Russia e Ucraina. La scelta dei primi due è legata alle analogie rispettivamente con Russia e Ucraina. Ebbene, tra i quattro è proprio il reddito russo a essere in flessione. L’Ucraina, infatti, ha beneficiato di aiuti militari e assistenza finanziaria dell’Occidente, che le hanno permesso di stabilizzare la bilancia dei pagamenti e sostenere la spesa pubblica. A contrario, per limitare i danni dell’inflazione, la Banca centrale di Mosca ha dovuto portare i tassi di interesse al 21%, determinando però il calo del 75% delle vendite di abitazioni e la conseguente crisi del settore delle costruzioni.

Ipotesi pace

Cosa succederebbe quindi se si arrivasse alla pace? Come reagirebbe un’industria dopata dalla produzione di fucili e cannoni improvvisamente inutili? Mosca dovrebbe ricorrere a un piano di riconversione industriale fatto di rilancio di filiere abbandonate, know-how da recuperare – probabilmente all’estero – implementazione delle esportazioni delle materie prime già saturo. E con che copertura finanziaria? Nella versione russa del documento post summit a Riad, l’abrogazione delle sanzioni rappresenta una garanzia irrinunciabile per raggiungere la tregua. Perché? Perché l’attuale esclusione dal sistema bancario Swift rappresenta il completo isolamento finanziario di Mosca. Riaprire questo cancello è l’unica strada per salvare l’economia russa. E anche il regime di Putin. Certo, al netto di eventuali spese di guerra che il Cremlino dovrebbe pagare. Ma su queste nessuno ha mai alzato il dito. Nemmeno i volenterosi.