La nuova Rimini, la trasformazione della città romagnola: le affinità con Valencia e il “vieni oltre”

Robert De Niro, in giacca rosa salmone, esce di casa, entra nell’auto, infila la chiave nel blocchetto di accensione, la gira e boom!, tutto esplode. ‘Casinò’, tra i capolavori di Martin Scorsese, comincia così, dalla fine. Saranno poi i 178 minuti successivi a raccontarci come si è finiti lì. Usiamo lo stesso artificio retorico per narrare la nuova storia di Rimini, città romagnola, puntino sull’asse dell’Adriatico, ben piantata nell’immaginario collettivo nazionale e estero per la sua leggendaria aura di ‘El Dorado della vacanza balneare’. Iniziamo dal fondo e cioè dalla recentissima candidatura della città a Capitale Italiana della Cultura per l’anno 2026. Apparentemente un bizzarro paradosso per quel luogo che, a fine anni Settanta, finì ufficialmente nel vocabolario della lingua patria per un termine, ‘riminizzazione’, che aveva molto a che fare con la cementificazione e l’utilizzo troppo intensivo del territorio a fini costruttivi.

Le si attaccarono dietro a mo’ di vagone i calembour di altri intellettuali che, senza neanche tentare di nasconderlo, non sopportavano l’impianto popolare e poco contenibile nei canoni di un turismo che miscelava famiglia e ‘prima volta’, pensione completa e proibito, gelati, cabine e bandiere: divertimentificio, teutonen grill, distretto del piacere. Finché nel 1985 arrivò Pier Vittorio Tondelli e il suo feuiletton post moderno ‘Rimini’ a fissare il nuovo perimetro: Rimini è il migliore e più realistico specchio della modernità, definendo un ‘nuovo pensiero’ che ha il solo torto di non esprimersi nei modi convenzionali del politicamente accettabile: musica, moda, costume, corpo, vita pulsante. Se per Ligabue questa città è ‘come il blues: dentro c’è tutto’, Tondelli riuscì ad andare oltre, e cioè liofillando una poesia densa del lirismo maledetto e molto anni Ottanta: ‘…E le città, le città dai nomi così perfettamente turistici – Bellariva, Marebello, Miramare, Rivazzurra – apparvero come una lunga inestinguibile serpentina luminosa che accarezzava il nero del mare come il bordo in strass di un vestito da sera.’.

Negli ultimi 60 anni Rimini è stata data per morta e poi risorta probabilmente 5 volte, ed è stata data per spacciata almeno 3 volte tanto, comparazione facile e permanente soprattutto per una pubblicistica pigra, stancamente abituata a leggere ‘in automatico’ gli alti e gli sprofondi di una Nazione crudele e fragile come il nostro negli aruspicini riminesi. Ma nel frattempo qualcosa è cambiato, e non è poca cosa. Se c’è in Italia e in questo momento una città in cui più è marcata la diametrale differenza con il Paese per quanto riguarda le direttrici di futuro e di sviluppo questa è Rimini. La candidatura a Capitale della Cultura non è, infatti, un colpo di testa o di sole ma il frutto di una semina che dall’inizio del nuovo millennio, con un’intensificazione evidente da 10 anni a questa parte, ha condotto la città a un radicale mutamento di pelle, natura e prospettive. Chi fosse tornato a Rimini dopo un’assenza di qualche stagione faticherebbe a riconoscerne luoghi e paesaggio.

Due nuovi Musei internazionali; il nuovo lungomare che traduce il dibattito sul climate change e la vecchia lingua interrotta di asfalto in un immenso Parco del mare , tra verde, dune, palestre e giochi per bambini ( ispirati poi dalle favole di Gianni Rodari); il superamento dell’endemico problema (comune a gran parte delle coste italiane italiane) degli scarichi fognari a mare; la ricostruzione del teatro ‘Amintore Galli’ dopo 73 anni di polvere, vuoto e progetti falliti; il primo tratto della metropolitama costiera di superficie a connettere Rimini a Riccione; una sistematica attenzione alla qualità urbana diffusa come elemento di sicurezza sociale. In generale la sensazione di trovarsi davanti a una sorta di Valencia nostrana, di un pezzo di futuro possibile nell’area mediterranea, in cui l’innovazione si è fatta e continua a farsi davvero concretezza. “Rimarco ogni volta come fondamentale sia stata la decisione di dotare Rimini di un Piano Strategico, alla fine dello scorso decennio- così commenta Jamil Sadegholvaad, PD, sindaco di Rimini dall’ottobre 2021, 51 anni, madre riminese e papà iraniano-.

Una bussola prima messa a punto dal lavoro collegiale di ognuna delle componenti pubbliche e private cittadine e poi messa a terra nei due mandati amministrativi a guida Andrea Gnassi, in cui svolgevo il ruolo di assessore ai Lavori Pubblici”. Gnassi, PD, ora Deputato della Repubblica, ha perfino fisicamente interpretato il cambiamento di una città che, alla fine del primo decennio del Millennio entrante, era entrata in crisi su molti fronti: sistema creditizio, comparto edile, modello turistico ormai maturo e in ritardo rispetto ai nuovi parametri (le presenze estere non superavano il 20 per cento del totale), soprattutto in materia ambientale, sanciti dalle regole comunitarie. Forte del Piano Strategico, Rimini ha avviato una rivoluzione, partendo proprio dal rifacimento del sistema fognario, elemento nevralgico anche sotto l’aspetto della sicurezza idraulica visto che se Rimini non ha subito conseguenze dalla tragica alluvione che ha colpito la Romagna a maggio lo deve soprattutto a questo. Quindi allargando l’azione alla costruizione e ricostruzione dei contenitori culturali e infine avviando la rigenerazione del waterfront in sterminato (13 km) Parco del benessere, là dove prima, vista mare, c’erano solo asfalto, lamiere d’auto, caos.

‘Il sopra e insieme il sotto…l’hardware e il software’ , le cosiddette periferie connesse con la “ città” , il “ centro “ :questo è stato il mantra, a significare l’esigenza di una riqualificazione organica e non a spot in cui anche gli eventi, la vetrina rispondesse a un disegno omogeneo e fortemente caratterizzato dal genius loci. L’investimento complessivo da parte del Comune e delle Istituzioni pubbliche, in 10 anni, ha superato i 500 milioni di euro. Oggi è Sadegholvaad, anzi Jamil come lo chiamano quasi tutti, amici e nemici, per evidente facilità lessicale, a proiettare il processo di cambiamento evolutivo di Rimini nei tempi ancora cambianti di oggi .Lo fa con il suo stile e un suo programma preciso, concentrandosi in particolare sul rilancio dell’aeroporto, indispensabile per elevare l’appeal verso il turismo estero, comunque già oggi oltre il 30 per cento dei pernottamenti totali, il recupero del patrimonio delle ex colonie marine, bloccate da 40 anni da una burocrazia miope, e la semplificazione degli strumenti urbanistici per favorire la riqualificazione degli alberghi. In generale, l’avviso ai naviganti pare rivolto ad incoraggiare la fiducia e gli investimenti da parte dell’universo privato, dopo lo sforzo straordinario fatto dall’Ente pubblico lungo un decennio.

Questo sforzo sostiene l’impensabile (fino a pochi anni fa) candidatura di Rimini, città ricca di una storia bimillenaria e culla di Federico Fellini, entrambi postposti alla furente ricostruzione post bellica in chiave turistica, a Capitale della Cultura per l’anno 2026. Sadegholvaad ha messo in evidenza come questa candidatura risponda simbolicamente anche al desiderio di rinascita di una terra come la Romagna, uscita martoriata nel corpo e nell’anima dall’alluvione primaverile e frustrata nella ricostruzione dal governo Meloni. Un appello a cui i Comuni capoluogo romagnoli hanno risposto ‘presente’. Lo slogan della candidatura è una bizzarra ‘sgrammaticatura’ dalla radice dialettale: ‘Vieni Oltre’. Un detto che ricorre spesso in città e che in qualche modo veste la particolarità e l’unicità dell’apporto offerto da oltre 2 mila anni da Rimini alla cultura nazionale. ‘ È un “ vieni qui “ dove il qui è sostituito da oltre , a dire che comunque questo “ qui “ riminese dove siamo adesso “ è già un divenire, un “oltre” appunto . Volevamo rappresentare l’idea del nostro territorio come paesaggio immateriale, metaforico, luogo di libertà del pensiero e dei suoi stili di vita, dove anche lo spazio e il tempo si dilatano e si intersecano- dice Jamil-. E’libertà, qualcosa di più della tolleranza e dell’accoglienza, la nostra è una innata familiarità e quotidiana convivenza plurisecolare con una immensa umanità di viaggiatori, in transito necessariamente da noi verso l’Europa e verso l’Oriente.’.
Ricordate De Niro che salta in aria nei primi secondi di ‘Casinò’? Ecco, dopo quasi 3 ore di film a illustrazione di quell’inizio/fine, si vede Bob, sopravvissuto, seduto a una scrivania che dice: ‘E questo è tutto’. Come Rimini, sapendo bene che al tutto si può comunque dire ‘Vieni Oltre’.