La Flotilla arriva (per supplemento di provocazione, proprio nel giorno del Kippur) al limite delle acque internazionali e si avvicina al momento del suo discutibile “martirio”, mostrato in Eurovisione, dopo aver veleggiato per giorni nell’ambito di una copertura mediatica, che, parafrasando una vecchia rubrica sportiva, potremmo definire la navigazione “minuto per minuto”. Nel frattempo è partita – dimenticata da Dio e dagli uomini – una spedizione con più di 110 attivisti da tutta Italia, dopo il lavoro di un anno, per raggiungere Kharkiv in Ucraina (dove resterà fino al 5 ottobre) e portare soccorsi a quelle popolazioni che da 1.320 giorni sono sottoposte a privazioni di ogni tipo sotto i massicci bombardamenti russi che puntano direttamente sui civili senza alcun preavviso di sgombero.

La spedizione è organizzata dal Mean (Il Movimento Europeo di Azione Nonviolenta) di cui è portavoce Marco Bentivogli. Fondato pochi giorni dopo l’inizio dell’aggressione, vi aderiscono 35 organizzazioni tra cui Azione Cattolica, ANCI, MoVI, MASCI, AGESCI, Base Italia, Fondazione Gariwo, Piccoli Comuni del Welcome, Reti della Carità, Progetto Sud. Dall’inizio del conflitto, il Mean ha effettuato 13 missioni in cinque oblast (Leopoli, Kyiv, Chernihiv, Mykolaïv, Brovary); organizzato decine di incontri in tutta Italia e gemellaggi tra Comuni ucraini e italiani; promosso raccolte per l’emergenza inverno e 2 sit-in davanti all’Ambasciata russa a Roma. Un’attività meritoria, non violenta, solidale con popolazioni civili martoriate, vicina a una nazione eroica che è – come è stato detto – la prima linea della difesa della libertà.

Eppure, queste attività restano sconosciute alla grande maggioranza dell’opinione pubblica: non trovano spazio, neppure in una nota di cronaca, su quegli stessi quotidiani che da settimane dedicano l’apertura alle avventure della Flotilla, collegandosi con i loro inviati a bordo, sempre che abbiano ottenuto il gradimento degli attivisti. La missione a Kharkiv si svolge in una zona di guerra, perché tutta l’Ucraina lo è, e vuole arrivare fino alla regione più esposta all’offensiva russa, sotto un cielo popolato da droni e missili. Il convoglio del Mean non ha ricevuto auguri di buon viaggio dai conduttori televisivi che si sono sperticati ad augurare “buon vento” alla Flotilla; non ha ottenuto il plauso delle più alte istituzioni della Repubblica (l’appello di Sergio Mattarella mi ha ricordato quello di Paolo VI agli “uomini delle Brigate rosse” per la liberazione di Aldo Moro nel 1978), del Vaticano e non ha avuto assegnata neppure una scorta di guardie forestali. Se la missione incontrerà qualche difficoltà ad opera delle truppe russe, in Italia non si farà un solo minuto di sciopero e nessuno scenderà in piazza per “bloccare tutto” e per aggredire la Polizia.

Anzi, ci sentiamo pure di ipotizzare uno scenario “marittimo” ancorché oggettivamente complicato sul piano geografico. Supponiamo che i promotori avessero deciso di sbarcare gli aiuti, attraversando il Mar Nero, sulla Striscia del Donbass occupata dai russi, allo scopo di rendere palese la protesta contro quell’invasione illegale e di forzare il blocco navale russo; e che il Cremlino li avesse minacciati con l’accusa di violare le acque territoriali degli Stati fantoccio riconosciuti da Mosca. Ma se – nonostante gli ukase e gli inviti a desistere – gli attivisti avessero deciso di proseguire e magari a bordo vi fossero dei parlamentari meloniani (ipotesi solo di scuola, perché il Mean non vuole dare visibilità a degli esibizionisti e perché a destra nessuno ha la vocazione dell’eroe), i conduttori e gli ospiti dei talk show di La7 li avrebbero accusati di essere dei provocatori irresponsabili. E se fosse capitato loro un tragico evento, “se lo sarebbero andati a cercare”. Un po’ come Charlie Kirk. Non tutti i morti sono uguali; neanche i bambini uccisi o rapiti.