«Nella Francia laica, gli ebrei si sentono isolati. Alcuni lasciano perfino il Paese. Mentre un’importante parte politica soffia sull’odio antiebraico». Stéphanie Courouble-Share, storica e ricercatrice francese, specializzata in studi sull’antisemitismo e il negazionismo, ha proposto di recente la creazione in Francia di un centro studi universitari sull’antisemitismo.
Professoressa, in Italia i casi dei negozi a Milano e Napoli che con i loro cartelli «vietato l’ingresso ai sionisti» hanno suscitato scandalo. È un fenomeno inedito nel nostro Paese. Ci sono stati episodi simili in Francia?
«In Francia, per quanto ne sappia io, no. È successo però in Svizzera e in Belgio. Non è una novità e certo non è legata all’ondata antisemita post 7 ottobre. Detto ciò, da quella data si osserva un’intensificazione di questa retorica. Il termine “sionista” viene spesso usato come sostituto velato per indicare gli ebrei, in una deriva semantica che rivela la ricomparsa di un antisemitismo antico sotto nuove forme. Il Ministero dell’Interno francese ha registrato, dal 7 ottobre 2023, oltre 1.500 episodi. Un livello mai raggiunto dai primi anni 2000. Alcuni casi riattivano meccanismi di stigmatizzazione già noti, per esempio negli anni Trenta e Quaranta, oppure osservati durante la pandemia, quando discorsi complottisti hanno preso di mira gli ebrei».
L’antisemitismo è spesso associato all’estrema destra. Sappiamo però che non è l’unica matrice. La realtà è più complessa.
«Possiamo distinguere il fenomeno in tre categorie. C’è un antisemitismo di estrema destra, uno islamista e un terzo di estrema sinistra, generalmente connesso a un antisionismo radicale, alla negazione della legittimità di Israele e a una rilettura ideologica della memoria della Shoah, strumentalizzata per delegittimare. Quest’ultima forma si basa su una visione postcoloniale dell’attualità, che considera Israele un’entità appunto coloniale imposta dall’Occidente a scapito dei popoli autoctoni. Queste forme di antisemitismo, pur avendo approcci ideologici differenti, si incontrano sul terreno comune dell’odio verso il “sionista”. In certi casi, si osservano persino convergenze tra questi ambienti, uniti da un obiettivo comune: la delegittimazione di Israele».
Com’è oggi la vita di un cittadino di fede ebraica in Francia? Ci sono città o quartieri dove corre più rischi?
«La situazione è preoccupante. Molti ebrei oggi evitano di mostrare segni esteriori della propria fede, per esempio la kippah. Altri rimuovono la mezuzah dalle porte di casa. In alcune banlieue di Parigi (Belleville o Barbès, ndr) si sono trovate scritte antisemite sugli ingressi di famiglie ebree. Tolone, Marsiglia o Lione sono state teatro di gravi attacchi antisemiti negli ultimi anni. Molti cittadini ebrei in Francia si sentono isolati. Alcuni lasciano il Paese o iscrivono i figli in scuole comunitarie per ragioni di sicurezza».
Quali partiti politici prendono sul serio questo problema? E quali invece lo minimizzano, o addirittura lo alimentano?
«In Francia la lotta all’antisemitismo è stata storicamente sostenuta da forze repubblicane sia di centrodestra che di centrosinistra. Renaissance e Les Républicains hanno condannato gli atti antisemiti e sostenuto la necessità di maggiore sicurezza. Il Partito socialista ha a lungo avuto un ruolo centrale in questa battaglia. Tuttavia, alcune frange della sinistra attuale, vicine a La France Insoumise (Lfi), mostrano oggi una posizione più ambigua. Diverse figure del movimento sono state accusate di minimizzare l’antisemitismo. Lfi è stata anche criticata per il rifiuto di definire gli attacchi del 7 ottobre come atti terroristici e per i paragoni frequenti tra Israele e il regime nazista. In risposta, il movimento accusa i suoi critici di strumentalizzare l’antisemitismo per mettere a tacere ogni critica a Israele. All’estrema destra, il Rassemblement National tenta da anni di ripulirsi l’immagine. Questa strategia ha trovato eco persino nel governo israeliano, che ha invitato il presidente del partito a una conferenza sull’antisemitismo. Tuttavia, il passato ideologico del partito e le dichiarazioni antisemite o negazioniste di alcuni esponenti pesano ancora. Infine, certi partiti o movimenti “islamo-gauchistes” o provenienti da ambienti comunitari radicalizzati diffondono un antisionismo virulento, che scivola frequentemente nell’odio antiebraico».
Dopo il 7 ottobre 2023 si è avuta un’ondata iniziale di solidarietà verso Israele, poi capovolta a favore dei palestinesi. È successo lo stesso in Francia?
«Anche da noi, nei giorni successivi ai massacri del 7 ottobre, la classe politica francese ha espresso ampio sostegno a Israele e condanna del terrorismo. Ma, appena è iniziata l’offensiva israeliana su Gaza, molti discorsi si sono concentrati sulla situazione umanitaria palestinese. In certi ambienti ciò è avvenuto con un relativismo inquietante, se non con una giustificazione implicita dei crimini di Hamas. Si sono viste manifestazioni con slogan che chiedevano la scomparsa di Israele, o richiami alla Shoah. Parallelamente, la comunità ebraica continua a mobilitarsi in modo pacifico in manifestazioni per la liberazione degli ostaggi».
Lei propone la creazione di un centro universitario contro l’antisemitismo. Quale sarebbe la sua missione?
«Dotare la Francia di un vero spazio interdisciplinare di ricerca scientifica, in grado di produrre analisi rigorose, formare giovani ricercatori e alimentare il dibattito pubblico. Potrebbe collaborare con i media e le piattaforme digitali per analizzare l’odio online e contribuire a politiche di prevenzione più efficaci. Mi ispiro a modelli come il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea in Italia e al suo Osservatorio sull’antisemitismo. Per ora però, pur esistendo la volontà politica, le organizzazioni francesi faticano a trovare un accordo su un punto cruciale: bisogna integrare la lotta contro il razzismo in senso lato con quella contro l’antisemitismo oppure trattare i fenomeni separatamente?».
