Esteri
L’ambasciatore Checchia: “Italia ponte tra Occidente e Oriente, Meloni lavora per una pace che non sia una resa”
Il presidente del Comitato Strategico del Comitato Atlantico Italiano è ottimista sul nostro Paese: “Bene l’invito di Abu Mazen ad Atreju, solo un’ANP rinnovata e credibile può risolvere la guerra”
«Meloni punta a preservare l’unità dell’Occidente e lavora per una pace che non sia una resa». È questa la diagnosi dell’ambasciatore Gabriele Checchia – già ambasciatore alla Nato, in Libano, Direttore per le relazioni internazionali della Fondazione FareFuturo e presidente del Comitato Strategico del Comitato Atlantico Italiano – sul ruolo dell’Italia nelle principali crisi in atto.
Ambasciatore, come valuta il piano di pace proposto dal presidente Trump?
«Mi sembra un tentativo della Casa Bianca di chiudere il conflitto, con l’obiettivo primario di allentare il legame strategico tra Russia e Cina. Per Washington, l’Ucraina è un dossier rilevante, ma è prioritario contenere l’assertività cinese. Non a caso il piano Trump, nei suoi 28 punti iniziali, seguiva lo spirito di Anchorage nell’orizzonte di partnership strategico-industriali, e con aperture significative a Mosca. Anche per questo l’Europa lo ha giudicato irricevibile, imponendo una revisione che lo ha ridotto a 19 punti più equilibrati. Ma Putin ha dimostrato di non essere disposto a cedere. I colloqui a Mosca tra Witkoff, Kushner e Putin non hanno prodotto risultati e, come dice Rubio, c’è ancora molto lavoro da fare. Non ci sono, quindi, ancora margini per un compromesso: l’aggressione russa continua, e l’Occidente fa bene a mantenere una linea coerente e unitaria di difesa caparbia dell’Ucraina».
In questo quadro come si sta muovendo l’Italia?
«Positivamente. Il governo italiano, il presidente Meloni, il ministro Tajani e il ministro Crosetto stanno sostenendo con coerenza la sovranità e indipendenza di Kyiv senza cadere però in una logica di scontro frontale con Mosca. Come europei, non possiamo accettare una pace imposta dall’alto. L’Ucraina è, infatti, l’ultima barriera tra l’aggressività del Cremlino e l’Europa. Però allo stesso tempo è chiaro che senza Washington non è pensabile nessuna pace. Meloni fa bene, quindi, ad insistere affinché la risposta occidentale resti unita, contrastando il disegno di Putin di separare Europa e Stati Uniti».
Che segnali coglie dal recente viaggio in Medio Oriente di Papa Leone XIV?
«Il Pontefice, in continuità con Benedetto XVI e Francesco, ha voluto rafforzare due messaggi: l’unità del mondo cristiano e il sostegno a ogni sforzo per la pace. Ad Ankara ha riconosciuto esplicitamente il ruolo di Erdoğan nei negoziati su Gaza e sull’Ucraina. Papa Prevost ha poi sottolineato l’importanza delle comunità cristiane nell’identità turca, anche, è lecito ritenere, rispetto alle pulsioni islamonazionaliste presenti nell’attuale classe dirigente del Paese. Mentre a Beirut, Leone XIV ha riaffermato l’importanza del Libano come presidio della presenza cristiana in Medio Oriente e modello di un’armonia possibile tra le diverse confessioni religiose. Questa visita, quindi, oltre a confortare le comunità cristiane orientali, parla anche a tutto il mondo arabo. Ma non solo».
Ovvero?
«Mi ha molto colpito il monito del Pontefice secondo cui nessuna religione deve essere usata per giustificare la guerra: un’indiretta critica, a mio avviso, anche alla Chiesa ortodossa russa, oggi schierata a sostegno del Cremlino».
Il Papa ha anche elogiato il ruolo dell’Italia come mediatrice: come giudica questo passaggio?
«È un riconoscimento importante. L’Italia ha una tradizione storica e culturale che le consente di dialogare sia con l’Occidente sia con l’Oriente, e il Pontefice lo ha sottolineato definendola “mediatrice di pace”. C’è una sintonia evidente fra Santa Sede e governo italiano sulla necessità di una soluzione diplomatica sia per la crisi ucraina sia per il Medio Oriente. Questo non significa rinunciare a sostenere militarmente Kyiv seguendo il tracciato dei partner Nato ed europei. Significa però anche lavorare parallelamente per una pace giusta e non imposta a danno dell’Ucraina».
L’invito ad Atreju al presidente Abu Mazen è stato letto come un gesto forte. Come lo interpreta?
«È un’iniziativa che va nella direzione giusta. L’unica soluzione al conflitto israelo-palestinese passa da un’Autorità Nazionale Palestinese rinnovata e credibile: non certo da Hamas. Il governo italiano sta, infatti, incoraggiando il sentiero di moderazione da parte di Netanyahu e al tempo stesso sostiene la ricostruzione politica dell’ANP. Con un intenso impegno sul piano diplomatico e umanitario a favore dei civili palestinesi grazie all’attivismo sul tema di Tajani, Crosetto e di Meloni soprattutto. Questo invito è quindi un passo coerente con l’obiettivo dei “due popoli, due Stati”, che è anche la linea della Santa Sede e dell’Europa».
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