Le ragioni di un Sì
L’Associazione Europea dei Giudici ci risparmi le patenti di democraticità: i Paesi che hanno separato le carriere non si trovano nell’abisso autoritario
L’associazione di categoria avverte sulla riforma: l’equilibrio dei poteri è a rischio.
Voltaire, che di paradossi se ne intendeva, avrebbe trovato materia per un nuovo capitolo del Candide nell’osservare l’ultima sortita dei giuristi europei contro la riforma costituzionale italiana sulla separazione delle carriere. L’Associazione Europea dei Giudici ha infatti solennemente ammonito l’Italia dal proseguire su questa pericolosa strada, evocando nientemeno che la minaccia al delicato equilibrio dei poteri voluto dalla Costituzione del 1946, quasi fossimo alla vigilia di un colpo di Stato in camice.
La singolarità della vicenda è che codesti zelanti custodi delle libertà italiane provengono in larga misura da ordinamenti che la separazione delle carriere l’hanno adottata da decenni, se non da un secolo. Francia, Germania, Spagna, Austria, Portogallo, Paesi Bassi: tutte democrazie che, a quanto pare, hanno saputo sopravvivere allo “stravolgimento dell’equilibrio costituzionale” senza precipitare nell’abisso autoritario che invece minaccerebbe la penisola.
Il caso portoghese merita una menzione particolare. Dal 1974, Lisbona ha introdotto la separazione delle carriere proprio come baluardo contro il ritorno dell’autocrazia. Eppure, qualche magistrato lusitano ha sentito il dovere di ammonire l’Italia sui rischi della riforma. Verrebbe da chiedersi se la memoria storica sia materia plastica, modellabile secondo le convenienze del momento, oppure se semplicemente l’ironia della situazione sfugga agli interessati.
In Germania non esiste neppure il Consiglio superiore della magistratura: le carriere, le promozioni, gli avanzamenti sono decisi dai funzionari dello Stato. La Francia mantiene due formazioni separate del proprio Consiglio. La Spagna distingue nettamente la carrera judicial dalla carrera fiscal. Tutte eccezioni al modello italiano? O forse è l’Italia stessa ad essere l’eccezione, come persino il presidente del Consiglio Nazionale Forense ha avuto modo di osservare senza suscitare particolare scandalo tra i benpensanti?
Ma la vera perla di questa commedia degli equivoci sta nel merito delle obiezioni mosse. L’Associazione Europea dei Giudici ha censurato in particolare il sistema del sorteggio per la composizione dei nuovi Consigli superiori, evocando una presunta violazione degli “standard europei” secondo cui i membri degli organi di autogoverno giudiziario devono essere “scelti dai loro pari”. Ora, sarà pure che la nostra formazione giuridica nazionale è inadeguata rispetto agli eccelsi parametri continentali, ma a noi sembra che sorteggiare tra magistrati sia pur sempre una scelta effettuata nell’ambito dei “pari”, a meno di non ritenere che solo l’elezione corporativa rappresenti il summum della democrazia interna.
Resta da capire quale sia la legittimazione di questi organismi sovranazionali a sostituirsi alla Corte Costituzionale italiana nell’interpretazione della nostra Carta fondamentale. L’Associazione Europea dei Giudici non è un organo giurisdizionale, non ha competenze in materia di costituzionalità, non dispone di strumenti coercitivi. È, a voler essere franchi, un’associazione di categoria che esprime un orientamento politico-sindacale, per quanto ammantato di nobili dichiarazioni di principio. Il che è perfettamente legittimo, sia chiaro: anche i magistrati hanno diritto di parola. Ma spacciare un comunicato corporativo per un oracolo giuridico vincolante suona francamente eccessivo.
E allora, mentre ci avviciniamo al referendum confermativo che verosimilmente si terrà in primavera, converrà tenere a mente questa piccola ma significativa lezione di metodo: quando qualcuno vi ammonisce sui pericoli della separazione delle carriere evocando l’Europa, chiedetegli gentilmente da quale Paese europeo proviene. Scoprirete, con buona probabilità, che viene da un ordinamento che ha adottato quella stessa riforma da tempo immemorabile, e che – miracolosamente – non è ancora crollato sotto il peso della tirannide.
Quanto a noi italiani, quel popolo incorreggibilmente votato all’anarchia e al disordine secondo i più benevoli osservatori stranieri, potremmo forse permetterci il lusso di decidere da soli come organizzare la nostra magistratura, senza bisogno di patenti di democraticità rilasciate da chi, in casa propria, pratica esattamente ciò che a noi viene presentato come il male assoluto. Ma forse chiediamo troppo. In fondo, come insegnava Manzoni, “il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune”.
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