L’economia globale sta cercando una direzione di crescita sostenuta dopo il crollo “a V” del Pil accaduto a partire dal secondo trimestre del 2020, cioè con l’inizio della pandemia e dei lockdown: a dispetto dei catastrofisti più sfrenati, il recupero del Pil ha avuto nei diversi paesi un andamento somigliante alla lettera V in quanto è stato molto veloce.

Le alternative paventate erano un recupero “ad U”, cioè una lunga fase di Pil basso seguita da un recupero successivo, oppure un’assenza di ripresa, simboleggiata dalla malinconica lettera “L”. La Cina è un caso estremamente rilevante, sia per le dimensioni della sua economia che per la decisione di gestire per lungo tempo il Covid con una severissima politica di restrizioni, controlli individuali e quarantene finalizzata ad ottenere “Covid-zero”, cioè contagi prossimi o pari allo zero.

Va peraltro rilevato come i vaccini di stampo tradizionale utilizzati in Cina avevano un’efficacia molto minore rispetto ai vaccini basati sulla tecnologia mRNA, sviluppati da Pfizer-Biontech e Moderna negli USA e in Europa. A un certo punto – più precisamente alla fine del 2022 – il presidente della Cina Xi Jinping ha repentinamente interrotto la politica di Covid-Zero, lasciando circolare maggiormente il virus, in larga misura a causa dei rischi economici e sociali gravissimi per un paese severamente bloccato dalle restrizioni.

Il tema della crescita economica cinese è l’oggetto di un articolo pubblicato ieri dall’agenzia di stampa Reuters, il quale riporta le previsioni di 56 economisti sul tema: il punto cruciale è che – dopo un primo trimestre del 2023 caratterizzato da una crescita robusta – il secondo trimestre dell’anno dovrebbe mostrare un deciso rallentamento. La previsione media degli economisti interpellati è di una crescita del Pil pari al 5,5% quest’anno, e al 4,8% nel 2024. Questi dati, visti da un paese sviluppato dalla crescita bassa come l’Italia, appaiono in prima battuta come vigorosamente alti, ma in prospettiva storica si rivelano per quel che sono, ovvero il segno di un’economia che rallenta rispetto a tassi lungamente ancorati al 7% nel periodo precedente alla pandemia.

Dall’altra parte, l’economia degli USA ha ovviamente una crescita del PIL mediamente più bassa rispetto alla Cina. La cosa non deve stupire, in quanto il Pil pro capite, cioè il livello di sviluppo, degli USA è molto più elevato di quello della Cina: detto in altri termini, stiamo confrontando un paese sviluppato con un paese in via di sviluppo. Tuttavia, in termini dinamici la crescita del Pil reale negli USA non mostra segni di rallentamento rispetto al periodo precedente al 2020, e sembra ad oggi altresì aiutata da un livello piuttosto basso del dollaro rispetto alle altre valute come l’euro, così da stimolare con forza aggiuntiva le sue esportazioni. Sotto questo profilo, la battaglia commerciale tra Cina e USA – fatta di tariffe e restrizioni – sembra procurare più svantaggi alla prima che alla seconda.

Riccardo Puglisi

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