L’Europa ‘accerchia’ Orban, Recovery Plan verso lo stop e von der Leyen minaccia: “Cambi la legge anti-Lgbtq o agiremo”

L’Ungheria di Viktor Orban sempre più accerchiata dalle istituzioni europee. Il Paese guidato dal leader ‘semi-autoritario’ rischia di perdere 7,2 miliardi di euro previsti dal Piano per il Recovery Fund presentato da Budapest a Bruxelles. Il motivo? Secondo quelle ufficiose fornite dalle istituzioni europee, dietro il blocco dei primi fondi ci sarebbero le garanzie insufficienti sull’uso dei finanziamenti europei per garantire la ripresa economica post- Covid.

Stando a fonti europee citate dall’agenzia tedesca DPA, per la Commissione non sarebbero sufficienti le misure di precauzione previste dal governo per evitare abusi nelle spese dei fondi. Bruxelles deve esprimersi sul Pnrr ungherese entro lunedì 12 luglio.

Per ora Budapest tenta di smorzare i toni sul caso, con la ministra della Giustizia Judit Varga, responsabile per le trattative con l’Ue, che rivela che al momento sta “proseguendo un dialogo costruttivo con la Commissione” sul Recovery Plan, che Bruxelles non ha ancora bloccato.

Ma non può sfuggire la concomitanza con la ‘guerra’ in corso tra Orban e Bruxelles, in particolare con la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, che si era schierata apertamente contro la recente approvazione in Ungheria di una legge anti-Lgbtq definendola “vergognosa e discriminante”, così come 16 capi di governo che pur senza riferirsi espressamente alla legge ungherese avevano ribadito di “sostenere la diversità e l’uguaglianza Lgbti”.

Clima di tensione confermato dalle parole espresse oggi dalla von der Leyen nel corso del dibattito in plenaria al Parlamento europeo sulle conclusioni dell’ultimo Consiglio europeo: “I capi di stato e di governo hanno condotto una discussione molto personale ed emotiva sulla legge ungherese, praticamente l’omosessualità viene posta a livello della pornografia, e questa legge non serve alla protezione dei bambini, è un pretesto per discriminare. Questa legge è vergognosa”.

Dalla presidente della commissione è arrivato un chiaro avvertimento, nel giorno in cui la legge entra in vigore nel Paese guidato da Orban: “Se l’Ungheria non aggiusterà il tiro la Commissione userà i poteri ad essa conferiti in qualità di garante dei trattati, dobbiamo dirlo chiaramente noi ricorriamo a questi poteri a prescindere dallo stato membro”.

Uno scontro aperto in realtà anche con la Polonia, altro Paese da tempo nel mirino per gli attacchi del governo di ultradestra all’indipendenza della magistratura, dei media e dei diritti civili. Von der Leyen ha infatti aggiunto che “l’Unione Europea non può restare a guardare quanto sta accadendo in Polonia, quando ci sono regioni che si dichiarano libere dagli Lgbtq+ e non lasceremo mai che parte della nostra società sia stigmatizzata a causa di quello che si pensa, dell’etnia, delle opinioni politiche o credi religiosi”.

A difesa di Orban si è schierata, ma non è una novità, Giorgia Meloni. Per la numero di Fratelli d’Italia il blocco dell’approvazione del Recovery Plan dell’Ungheria sarebbe “al’ennesimo inaccettabile ricatto politico contro il legittimo governo di una nazione sovrana, reo di voler difendere le proprie prerogative previste peraltro dai trattati vigenti. Si riempiono la bocca di “stato di diritto” ma poi violano trattati e regolamenti pur di colpire Viktor Orbán. E lo chiamano “europeismo””.