L’Ilva è il disastro dei 5 Stelle: dall’annuncio degli “zero esuberi” di Di Maio al rischio di 5mila lavoratori a casa

Nessuno dei sindacati ha firmato: è finito così il tavolo Ilva al Ministero del Lavoro dopo un mese di trattativa. Ora se il Ministro Orlando firmerà la cassa integrazione straordinaria senza accordo, si assume la responsabilità di mettere fuori 5 mila lavoratori per sempre, con tutti i sindacati contro. Anche quelli che nella trattativa hanno avuto atteggiamenti più aperturisti. Alla fine però, con la diretta dell’ultimo tavolo lanciata sul maxischermo in fabbrica durante lo sciopero, tutti si sono allineati alla Uilm che dal primo giorno aveva annunciato non avrebbe mai firmato perché ciò “avrebbe significato diventare complici di 5000 esuberi”. Nella richiesta dell’azienda infatti era scritto a chiare lettere: “solo il raggiungimento di volumi produttivi pari a 8 milioni di tonnellate, che si presume si concluderà nel 2025 con l’avvio di afo5, consentirà il totale reimpiego delle risorse”.

Cosa che tutti a Taranto sanno non accadrà mai. Almeno fino a quando, come accaduto ad esempio con il gas, non cambierà l’atteggiamento dei partiti. Cosa che al momento tutti gli schieramenti in campagna elettorale per le amministrative sembrano lontani dal voler fare. Tant’è che, a differenza dei predecessori, Orlando non si è mai presentato al tavolo gestito dai funzionari del ministero. Mentre nelle stesse ore correva in piazza a sostenere i navigator. Assente persino il presidente Emiliano, se pur tra i convocati, dopo essersi a lungo lamentato di essere tenuto fuori. Nessun esponente politico ha detto una sola parola sui 5 mila lavoratori Ilva mandati a casa senza motivo, e pure stiamo parlando di un’azienda pubblica. E nonostante le parole del Presidente Draghi una settimana: “Estendiamo la garanzia di Sace all’Ilva per consentire all’azienda di aumentare la produzione e sopperire alle carenze di acciaio del Paese” annunciando l’inserimento della misura nell’articolo Ucraina bis.

Come si spiega allora che proprio nel momento in cui viene aumentata la produzione, si diminuisce di 3000 unità la forza lavoro? È dal primo giorno che l’ad Lucia Morselli è arrivata in Ilva che in una intervista a Porta a Porta l’ha detto chiaramente: “nel nuovo contratto firmato con Conte a marzo 2020 ci sono 5 mila esuberi”. Le rispose dal Partito Democratico Antonio Misiani, con un tweet, smentendo che l’accordo prevedesse esuberi. Eppure da allora a rotazione, prima per crisi di settore, poi per Covid, quei 5 mila, tra azienda e amministrazione straordinaria, sono a casa. Ma se fino ad oggi la cassa era legata a una riduzione della produzione, ora con la ristrutturazione degli altoforni e il piano ambientale quasi completato, Ilva è pronta per arrivare a 6 milioni come previsto dal piano presentato un mese fa dall’azienda rispondendo a Paese e mercato.

L’accordo occupazionale attualmente in vigore, firmato a settembre 2018, prevede 10.700 occupati per 6 milioni di tonnellate e il reintegro al raggiungimento degli 8 milioni nel 2023 dei 1700 lavoratori ora in cassa integrazione presso l’Amministrazione Straordinaria. E su questo punto che è saltata la trattativa. Il cerino l’ha tirato fuori durante il tavolo il segretario della Uilm Rocco Palombella: “Come mai ora che raggiungiamo finalmente quel livello di produzione, ci chiedete 3000 lavoratori in meno?”. “Quando avete firmato quell’accordo io non c’ero” ha risposto Lucia Morselli. Infatti fu firmato al Mise con Di Maio quando ancora c’era ArcelorMittal prima che Conte togliesse lo scudo penale e decidesse di nazionalizzarla. Dopo mesi di incontri infiniti e serrati con il ministro Calenda alla fine i sindacati, di fronte a un piano con meno occupati, decisero di interrompere la trattativa perché, dissero “il governo è scaduto”.

Preferendo firmare l’accordo confezionato da Di Maio “a zero esuberi”. Dopo quella firma Di Maio esultò: “Siamo arrivati da soli tre mesi e abbiamo risolto la crisi Ilva”. E invece ci sono 5 mila lavoratori a casa, e se il ministro Orlando ora firmerà la cassa integrazione straordinaria nonostante l’aumento di produzione, stralcerà l’accordo montato da Di Maio, ammettendo che era gonfiato. Considerando che a giugno a Taranto si vota, più probabile che strappi una rotazione di qualche mese, rimandando ancora una volta, come da dieci anni, il piano industriale e la sorte dei lavoratori. Con la consapevolezza, per la politica e per l’azienda, che da domani anche quei 5 mila saranno in piazza a Taranto a chiedere Ilva chiusa e integrazione salariale.