Il governo rischia di spaccarsi, e la causa ancora una volta riguarda l’Ilva di Taranto. Il tema è l’articolo 21 del decreto Milleproroghe, su cui in settimana il governo metterà la fiducia alla Camera, dopo averlo approvato in consiglio dei ministri il 31 dicembre. Il primo ad annunciare che c’erano degli scricchiolii era stato Salvini nella prima conferenza stampa dopo l’elezione di Mattarella: “Se un Ministro fa e lavora per garantire la produzione dell’acciaio, non ci può essere un alleato che disfa”. Si riferiva appunto a quell’articolo inserito all’unanimità in consiglio dei ministri, ma che subito dopo la pubblicazione è diventato motivo di attacco al governo da parte di due dei più accaniti reduci del Conte bis: l’ex sottosegretario Mario Turco e l’ex ministro Francesco Boccia.

Fu Conte infatti a decidere la statalizzazione di Ilva mentre Di Maio aveva firmato la definitiva aggiudicazione ad ArcelorMittal. I due esponenti di Pd e 5 stelle, alleati per le prossime amministrative in città, hanno guidato la fronda interna antidraghiana scendendo in piazza insieme all’Usb contro il governo, al grido “no allo scippo di Taranto”. Uno slogan utile ai due per sostenere la campagna elettorale dell’ex sindaco sfiduciato e fatto cadere dalla sua stessa maggioranza, ma lontano dalla realtà. Non fosse altro che tra Cis, fondo per il Commissario Bonifiche, porto, Pnrr, Next generation, area di crisi complessa, zes, giochi del mediterraneo, Taranto è oggi una delle città che riceve più risorse in assoluto e proprio per questo è al centro di forti interessi. Anche se la maggior parte di queste risorse, stanziate dal governo Renzi nel 2015 con l’istituzione del Contratto Istituzionale di Sviluppo, sono ferme al palo per incapacità di spesa e progettazione sul territorio.

Quanto al Milleproroghe, con l’articolo 21 non viene assolutamente toccato il fondo per le bonifiche della città, che ammonta a oltre 400 milioni ed è nelle mani del Commissario Straordinario. A dire il vero è stato proprio Mario Turco a fermarlo quando allora sottosegretario ne pretese e ottenne lo spoil system della dottoressa Corbelli, una geologa di grande fama, in favore del prefetto con nessuna competenza scientifica, che di fatto fermò i lavori in corso e i bandi già pubblicati come quello importantissimo per la bonifica del mar piccolo. Lo stesso sottosegretario Turco che si fece nominare da Conte anche coordinatore del Cis di Taranto, bloccò il progetto previsto da Renzi di evacuazione delle case parcheggio sotto le ciminiere dei Tamburi e il trasferimento dei residenti in un quartiere più idoneo. Mentre trovò ulteriori 70 milioni extra per la bonifica a tempo record dello yard Belleli per l’insediamento dei cinesi Ferretti grazie a un ingente incentivo pubblico a fondo perduto.

In realtà quello che ora Turco e Boccia chiamano “scippo” altro non è che, attraverso il milleproroghe e previa autorizzazione della commissione europea, un trasferimento dalla disponibilità dell’Amministrazione straordinaria al nuovo gestore Acciaierie d’Italia, per l’effettivo utilizzo di quel che resta dei famosi fondi sequestrati ai Riva e che il governo Renzi vincolò al piano ambientale. Che se lasciati nelle mani dei commissari resterebbero fermi e inutilizzati come fino ad oggi, senza neppure far tornare a lavoro i 1700 operai cassintegrati dell’amministrazione straordinaria. Mentre il Milleproroghe lascia intatta la loro destinazione: 450 milioni per il piano ambientale e sanitario, 190 per la bonifica interna e 100 ai commissari. Solo per il piano ambientale, regolato dal dpcm Calenda del 2017 che rendeva ancora più stringente quello di Orlando del 2014, ArcelorMittal da quando è entrata in fabbrica nel 2018 ha già speso oltre un miliardo, e dopo l’istallazione dei filtri Meros sul camino E312 manca solo la copertura dei parchi minerari minori per essere completo. A quel punto il siderurgico potrà tornare a produrre oltre i 6 milioni di tonnellate d’acciaio (ora è fermo a 3,5).

La Commissione Europea la scorsa settimana ha rigettato la richiesta di deferimento dell’Italia per l’inquinamento Ilva, scrivendo che è in netto miglioramento proprio grazie all’attuazione del piano ambientale. Ora però resta da attuare quello industriale, che non può più reggersi con una fabbrica a mezzo servizio lontano dalla sostenibilità economica e la metà degli operai in cassa integrazione rispetto a una domanda di acciaio in rialzo. La questione è seguita direttamente da Mario Draghi che la scorsa settimana ha incontrato il presidente d’Acciaierie d’Italia Franco Bernabè.

Il logorio antidraghiano di Turco e Boccia si è trasformato in un emendamento soppressivo all’articolo 21, in queste ore in limatura in commissione bilancio prima di arrivare alla fiducia. I relatori di Lega e 5 stelle hanno accantonato gli emendamenti soppressivi, annunciando una riformulazione. Ma la fronda interna grillina a Pd e 5stelle incalza e minaccia di far saltare il banco se non arriva la soppressione. Mentre ancora una volta, persino con il governo Draghi, la politica industriale del Paese rischia di essere trasformata in questua e beghe interne di partito.