Lunedì 31 maggio alle ore 10:00 presso la corte di assise di Taranto verrà letta la sentenza del processo Ilva “Ambiente svenduto”. Il primo grado di un processo iniziato nel 2012 con i maxi sequestri e che terminerà con la decisione di una giuria di due togati e sei giudici popolari dopo 389 udienze da dieci ore l’una cominciate a maggio 2016. La giuria dovrà pronunciarci sulla richiesta dei pm: 400 anni di carcere complessivi per 47 imputati e la confisca totale dello stabilimento (quindi la sua definitiva chiusura).

Le richieste dei pm sono pesanti: 28 anni di reclusione per Fabio Riva e Luigi Capogrosso, ex direttore del siderurgico di Taranto, e Girolamo Archinà responsabile relazioni istituzionali. Chiesti inoltre 20 anni di reclusione per Adolfo Buffo, ex direttore del siderurgico di Taranto e da poco richiamato in fabbrica dalla nuova governance come direttore generale di Acciaierie d’Italia. Cinque anni sono stati chiesti per l’ex governatore della Regione Puglia, Nichi Vendola. Tra gli imputati anche Fratoianni (all’epoca assessore regionale), altri responsabili istituzionali, e persino l’ex prefetto di Milano Bruno Ferrante che fu nominato custode dalla Procura per soli due mesi proprio in virtù del suo ruolo di garanzia istituzionale, e per cui ora la procura ha chiesto 17 anni di carcere.

Il reato contestato è di associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari e omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. Mille le parti civili, con oltre trenta miliardi di richieste di risarcimento. Un maxi processo difficilissimo, in cui si sono avvicendati durante il dibattimento centinaia di teste tra periti e scienziati, per chili infiniti di faldoni e controperizie, che hanno totalmente smontato la perizia madre del gip Todisco secondo cui Ilva avvelenava Taranto e ammazzava i bambini, insieme a intercettazioni trascritte male.

A nulla è servito il dibattimento ai fini delle richieste dei pm che, a detta di tutti i collegi difensivi di tutti gli imputati, sono rimasti fermi alle indagini preliminari, come se a nulla fossero serviti questi 5 anni di udienze infinite senza sosta tre volte la settimana con uffici legali esclusivamente e totalmente dediti alla causa, con una complessità scientifica delle materie trattate difficile per i legali, figuriamoci per i giurati popolari. Dibattimento, anzi processo, che non è riuscito neppure a dimostrare, nonostante decine di ricerche epidemiologiche, studi di corte, registri tumori, e cartelle cliniche, che vi sia un nesso di causalità tra l’inquinamento ambientale di Ilva e le morti o malattie di Taranto.

Tranne l’amianto, che è dimostrato causa mesotelioma, malattia che a detta della asl di Taranto produrrà eccesso di morti in provincia per i prossimi trent’anni, e che perlopiù è causato dall’arsenale e dalle navi in Mar Piccolo per cui continua ad essere ripetutamente condannata la Marina Militare. Ma mai in 60 anni è stato dimostrato un legame di causalità tra inquinamento Ilva e un decesso, e tutti abbiamo imparato in questa pandemia grazie ai vaccini quanto sia importante la differenza tra causalità e correlazione nel rapporto tra una sostanza e un effetto.

Eppure i giudici sono riuniti da 10 giorni e leggeranno la sentenza proprio in un’ala del complesso delle scuole sottufficiali della Marina Militare, ironia della sorte proprio l’unica condannata per decine di morti e malati a Taranto. Chissà che avrebbe detto l’opinione pubblica se la decisione fosse stata presa all’interno di Ilva. Ma la narrazione mediatica funziona cosi, e anche se la responsabile è un altra, come per l’inquinamento del Mar Piccolo (interrogatorio Severini) la colpa di tutto quello che succede a Taranto è sempre e solo di Ilva.

In quell’aula della Marina si sono svolte anche le requisitorie dei pm, mentre le arringhe degli avvocati come tutte le altre 300 udienze nell’aula bunker di Paolo Sesto. Si è preferito la Marina per i pm perché ha un aula più grande, e quindi ci entrava più gente. Anche questo svela la diversa attenzione mediatica per il processo: la folla per i pm, nessuno per teste e avvocati della difesa. In sostanza i Riva vengono accusati di aver avvelenato Taranto, e i politici di averli favoriti evitando i controlli.

Il Gruppo RIVA è a capo della cordata che acquista l’ILVA nel 1995, azienda che in mano allo Stato perdeva all’epoca 4 mila miliardi all’anno. Quando acquista l’ILVA il Gruppo Riva è il più importante gruppo siderurgico Italiano e uno dei primi in Europa; ha già 45 anni di storia ed ha fatto importanti acquisizioni e trasformazioni di stabilimenti e società in Germania, Spagna, Francia, Belgio, Canada; grande esperienza e grande competenza, rilevanti risultati anche economici. Dagli anni 80 sono i re assoluti e indiscussi del processo siderurgico industriale a forno elettrico, quello che il governo vorrebbe istallare oggi a Taranto, nel 2021, spacciandolo come Green e moderno. Riva già da allora, e ancora oggi, ne è il primo big player europeo. A Taranto produceva con altoforno perché quella era la tecnologia che aveva trovato, e per legge non poteva cambiarla. Il contratto di acquisto con lo Stato all’art. 6 imponeva di mantenere i livelli produttivi e occupazionali, con penale miliardaria in caso di mancato rispetto della clausola contrattuale.

Dal 1995 al 2012 i Riva effettuano investimenti (certificati) per oltre 4,5 miliardi di euro, di cui circa 1,2 miliardi solo ambientali; e installa quelle che allora erano le Migliori Tecniche Disponibili come certificato dalla sentenza irrevocabile del Tar Lecce del 2011. Il PM10 è passato da 85 mg/m3 del 1998 ai 33 mg/m3 degli anni 2010-2012. Nelle Cokerie il livello di BaP per i lavoratori, che operano con adeguati dispositivi di protezione personale, è stato sempre bassissimo (misurato da ARPA con i campionatori personali ) e molto al di sotto delle linee guida internazionali (visto che manca una indicazione specifica nella normativa nazionale ed europea); quanto alle diossine, le polveri al camino E312 sono passate dal valore di 175 mg/Nm3 del 1991 al valore di 19,45 mg/Nm3 del 2011, con pieno e abbondante rispetto di tutti i limiti di legge nelle annualità precedenti, ponendo le emissioni anche sotto la metà del limite emissivo previsto dalla legge.

Eppure secondo il pm “gli imputati erano animati da dolo intenzionale diretto all’evento del reato, che è il disastro; poi ci può essere anche un altro fine, quello di produrre acciaio, quello di produrre reddito, ma non influisce affatto sulla esistenza del dolo intenzionale, che era proprio quello del disastro”. Insomma secondo il pm i Riva volevano prima avvelenare, poi produrre.

Eppure nel dibattimento è stato dimostrato che le impronte ritrovate nei TOP soil campionati e analizzati dai periti non sono quelle delle polveri degli elettrofiltri. Le polveri degli elettrofiltri non sarebbero mai potute arrivare nelle campagne in cui sono andati al pascolo i capi di bestiame poi precauzionalmente abbattuti; il PM aveva ipotizzato che le polveri si sarebbero potute sollevare con il vento e incunearsi in una fessura presente nei lamierati; ora, al di là della ricostruzione rocambolesca peraltro solo ipotizzata e mai provata dal PM non si comprende la ragione per la quale gli imputati avrebbero dolosamente trascurato di chiudere questa feritoia nei lamierati, trattandosi di una spesa assolutamente risibile, specie se confrontata con gli investimenti miliardari effettuati durante la gestione privata; gli imputati avrebbero con coscienza e volontà (e non eventualmente con colpa e negligenza) omesso di chiudere questa feritoia, ben sapendo che il vento avrebbe potuto far risollevare le polveri, che avrebbero contaminato il terreno, che insieme all’erba la capra brucò! E questo senza che mai fino ad allora la ASL avesse segnalato valori anomali nel latte, nei derivati del latte e nelle carni degli animali portati al pascolo in quella zona.

La deposizione principale che è stata smontata dai super periti della difesa è proprio quella della custode Valenzano sulla circolazione delle acque marine dal mar grande al mar piccolo, prive di fondamento giuridico e disattese da numerose e autorevoli pubblicazioni scientifiche e che il PCB che aveva contaminato il Mar Piccolo e poi i mitili, ivi allevati, non era proveniente dagli scarichi Ilva in Mar Grande, ma, sicuramente da ascrivere agli sversamenti di olii dielettrici da parte della Marina, come puntualmente riferito dall’Ispettore Severini in udienza e come riscontrato anche dai recenti studi della Regione Puglia. Sempre sull’avvelenamento delle pecore è stato dimostrato che non sussisteva alcun concreto pericolo per la salute pubblica, in quanto nessun super consumatore avrebbe mai mangiato le quantità di fegato contaminato necessarie a determinare danni alla salute; conclusioni confermate anche dallo studio sugli allevatori prodotto nelle udienze di discussione da parte dello stesso Pubblico Ministero.

Infine è stata dimostrata la assoluta inattendibilità della perizia epidemiologica, quella iniziale del gip che ha dato inizio a tutto, dimostrando, fra le tante altre cose che, anche solo utilizzando il 95% di intervallo di confidenza, invece che il 90% o l’80% come usato, le evidenze epidemiologiche spariscono. E il 95% di intervallo di confidenza è quello usato, tornando alla pandemia, persino dal Comitato Scientifico che ha coadiuvato il Governo nella nota al covid. L’ultimo contributo scientifico, utilizzando i dati Istat, quindi i morti veri e non quelli “attesi” ha attestato come a Taranto la mortalità infantile sia in linea con le altre città italiane e che non muoiono più bambini del resto d’Italia, anzi, rispetto ad altre città meridionali, Taranto ha una mortalità decisamente inferiore.

Cosa che se era vera nel 2012, lo è ancor di più oggi, come attesta la Asl e lo stesso pm che ha detto nella requisitoria “dal 2012 le emissioni si sono dimezzate”, questo dovuto sostanzialmente al dimezzamento della produzione. Verità che però nessuno ha il coraggio di dire, e scrivere, fuori da un’aula di tribunale, perché contro il mainstream populista e mediatico cui spesso anche i politici sono andati dietro. Quanto a Vendola, lui ha rivendicato di seguire all’epoca sostanzialmente la linea della Cgil, industrializza e lavorista, ma di essere stato il primo ad avviare la stagione dei controlli ambientali. Ma erano tempi diversi.

Quelli in cui nel 2012, appena la Procura firmò il sequestro della fabbrica, Francesco Boccia, allora deputato Ds dopo essere stato commissario liquidatore del comune di Taranto, disse: “Ci sono dei momenti difficili per tutti, anche per un magistrato, nei quali diventa necessario avere il coraggio di fermarsi un attimo prima. Ilva rappresenta la siderurgia italiana. Quando il magistrato decide di bloccare l’impianto deve sapere, anche se non è scritto nel codice penale, che quanto sta per fare è una condanna a morte dell’azienda. Negli ultimi 15 anni a Taranto sono stati fatti un numero imprecisato di interventi per conciliare diritto e lavoro. Gli stessi magistrati non hanno la certezza inconfutabile dell’impatto delle emissioni. Solo un pazzo non chiuderebbe un’azienda che inquina, ma qui non è così”.

Anche la politica allora riconosceva la grandezza dei Riva, prima che venissero travolti dal tritacarne giudiziario e mediatico. O forse perché erano i tempi in cui finanziavano le campagne elettorali di Berlusconi al pari di Bersani. Mentre mai Renzi, pur accusato di aver salvato Ilva quando veniva a Taranto a prendersi fischi e sputi, ha mai preso un solo centesimo dalla fabbrica.

L’episodio spartiacque che segna per sempre la fine della fabbrica è il sequestro preventivo degli 8 miliardi, la cifra che sempre l’ingegner Valenzano, ancora oggi custode dell’area a caldo sotto sequestro, e allo stesso tempo dipendente della regione Puglia, l’unica con le chiavi della fabbrica, aveva stabilito come cifra necessaria per ambientalizzarla. Il più grande sequestro della storia d’Italia venne firmato dal gip su richiesta del pm, e indicazione del custode Valenzano, a maggio 2013.

Da quel momento i Riva non potendolo sostenere furono definitivamente estromessi dalla loro fabbrica che verrà commissariata dal Governo e successivamente messa in amministrazione straordinaria con un decreto firmato dall’allora ministro dell’ambiente Orlando e presidente del Consiglio Enrico Letta. Un esproprio di fatto cui solo la Cedu, un giorno, prima o poi, potrà ridare giustizia per violazione della proprietà privata. A dicembre dello stesso anno la Cassazione annullerà quel sequestro incongruo e illegittimo, ma i Riva erano ormai stati allontanati dalla loro fabbrica, per un sequestro preventivo prima giudiziario e poi politico. E il procuratore capo che aveva avviato l’inchiesta, dottore Franco Sebastio, costretto alla pensione, passerà alla politica candidandosi a Sindaco di Taranto. Oggi è presidente della società che edita La Gazzetta del Mezzogiorno, big palare pugliese delle mense pubbliche, e il giorno delle requisitorie dei pm da quelle pagine ha scritto un editoriale invitandoli a proseguire il suo lavoro.

L’unica volta che la Procura ha fermato l’accanimento giudiziario nei confronti di Ilva è stato quando l’allora procuratore capo Capristo patteggiò con i commissari di governo Ilva in amministrazione straordinaria, tramite il consulente Piero Amara. E’ una storia meno conosciuta, ma vera: Amara fu nominato dal commissario Laghi consulente di Ilva, e fu lui a intrattenere le riunioni con Capristo e il Pm Argentino per il patteggiamento di Ilva in amministrazione straordinaria (non Riva). Oggi leggiamo nei chiacchierati verbali della fantomatica loggia Ungheria che secondo Amara il procuratore Capristo era stato nominato grazie a lui alla procura di Taranto. Di fatto Amara aveva spostato la residenza legale in provincia di Taranto e aveva assunto nel suo studio il figlio del procuratore Argentino. Quel patteggiamento però verrà rigettato dalla corte di appello perché ritenuto incongruo.

Tolto quell’episodio l’accanimento giudiziario che quella fabbrica ha subito negli ultimi dieci anni ha trasformato i Riva in assassini, la fabbrica in morte, i giudici in eroi popolari, le loro frasi (“nessun bambino deve più morire per colpa di Ilva”) in striscioni nelle manifestazioni, e dopo le fiction con Sabrina Ferilli, le telecamere puntate sui fumi e la città di Taranto che attende di essere liberata attribuendo alla magistratura questa funzione salvifica, difficilmente una giuria, ancorché popolare, potrà deludere le attese che cittadini e media, e in buona parte anche politica, hanno loro affidato. Le condanne ci saranno, e saranno pesanti. Ma saranno solo di primo grado. Avvisare i vecchi, e nuovi, garantisti.