L’Iran non vuole cedere sul nucleare, la previsione di Erdogan: “Guerra con Israele va verso un punto di non ritorno”

FILE - Iranian Foreign Minister Abbas Araghchi speaks to journalists on June 3, 2025, in Beirut. (AP Photo/Hassan Ammar, File) Associated Press / LaPresse Only italy and spain

L’Europa ci prova. A far cosa non è chiaro. La rinata Troika, oggi chiamata E3, composta dai ministri degli Esteri britannico, francese e tedesco – David Lammy, Jean-Noël Barrot, e Johann Wadephul – con l’aggiunta della rappresentante diplomatica Ue, Kaja Kallas, si è incontrata ieri a Ginevra con la controparte iraniana, Abbas Araghchi. Obiettivo del summit: definire un’«offerta negoziale globale». Espressione usata dal Presidente francese Macron.

Le due settimane di stand by concesse da Trump, prima di dare un via libera (non scontato) a un attacco Usa all’Iran, sono una «finestra per una soluzione diplomatica». Così le ha interpretate il ministro Lammy, atterrato a Ginevra dopo gli incontri con il Segretario di Stato americano, Marco Rubio, e l’inviato della Casa Bianca in Medio Oriente, Steve Witkoff. Due settimane dopo le quali le mosse degli Stati Uniti restano un’incognita. Trump non ne ha spiegato espressamente il motivo, ma si può intuire che l’apertura di un terzo fronte di guerra, dopo l’Ucraina e Gaza, non sia tra i primi desideri della Casa Bianca. Questa come prima spiegazione. Poi ci sarebbero criticità militari e di politica interna che lo farebbero desistere.

Al netto di questo, il problema di Ginevra è il punto di caduta di questi negoziati. Nessuno, tra Europa, Stati Uniti e Israele, intende concedere un millimetro di manovra al programma nucleare di Teheran. Dove però gli Ayatollah, senza il nucleare, non hanno ragion d’essere. E qui vale quanto ha detto il Presidente russo, Vladimir Putin: «La fine di Khamenei scoperchierebbe un vaso di Pandora».
Preso atto di questa condizione che, a rigor di logica, avrebbe dovuto rendere chiara a tutti l’inutilità di vedersi a Ginevra, ciascun elemento dell’E3 ha le sue buone ragioni per evitare l’escalation.

In generale, l’Europa, quella di Bruxelles, non può restare a guardare. Sarebbe la conferma della sua esclusione anche da questa ennesima crisi. D’altra parte, inviare Kallas – estone e super esperta di questioni russe – invece di Ursula von der Leyen, impegnata con Giorgia Meloni nel maxi summit di Roma sull’Africa, vuol dire non percepire la centralità del dossier iraniano. Risolvere la questione Teheran, infatti, significa archiviare anche Gaza. La Francia, dal canto suo, fa la prima della classe, mentre Berlino vuole diventarlo. Macron insiste con un’agenda diplomatica che spesso collide con quella degli Stati Uniti. Viste le recenti dichiarazioni critiche sia su Gaza, sia sull’attacco a Teheran, si trova in una posizione ancora più conflittuale con Netanyahu. Diametralmente opposto è il governo Merz, riconoscente del lavoro sporco che l’aeronautica israeliana sta facendo in Iran. Nemmeno Londra può permettersi di restare fuori dai giochi.

D’altra parte, Starmer teme di fare la fine di Blair in Iraq, con George Bush jr, nel 2003. Ai calcoli politici, si sommano gli interessi economici. È vero che, a causa, delle sanzioni, gli scambi commerciali dell’Iran con tutta l’Europa sono crollati miseramente. D’altra parte, come sta succedendo con l’Ucraina, va osservata in prospettiva una fase di ricostruzione post conflitto, o comunque successiva alla caduta del regime. Se non combatti, poi non siedi al tavolo della pace. Questo è il mantra. E Ricordiamoci che nell’Iran libero si tornerà a trivellare.

Dal lato del tavolo iraniano, l’E3 ha trovato un ministro Araghchi intransigente nel rigettare l’intervento armato israeliano, che ha fatto saltare l’incontro in Oman con gli Usa, e nel difendere il diritto al nucleare da parte del suo Paese. È in questo clima che si sono aperti lavori ieri a Ginevra. Un summit lungo intervallato da non meglio precisate “pause tecniche” e concluso con l’intenzione iraniana di andare avanti con i negoziati. Tuttavia «l’Iran è disponile a nuove concessioni, ma non a interrompere l’arricchimento nucleare», ha detto Majid Farahani, un funzionario della presidenza iraniana, alla Cnn a colloqui in corso. Posizione che ha poco senso se si valuta il fatto che la guerra in corso è proprio dovuta al programma nucleare. Peraltro, sarebbe interessante sapere di quali altre concessioni parlava il rappresentante del regime. Elezioni? Diritti umani? Lo si dice con amara ironia, si intende. L’ottimismo scarseggiava ieri sera a Ginevra.

Non fosse altro perché nel mentre giungevano le notizie dal fronte dei combattimenti. Tel Aviv, Haifa e Gerusalemme sono state infatti l’obiettivo di nuovi attacchi. Nella comunità internazionale, quindi, aleggia il pessimismo. A confermarlo non valgono le parole del ministro degli Esteri israeliano, Gideon Sa’ar. «Non credo molto nella diplomazia con l’Iran. Tutti i precedenti sforzi diplomatici sono stati infruttuosi». No, sono le previsioni del presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, a suggerire nulla di rassicurante: «La Guerra tra Iran e Israele va verso un punto di non ritorno», ha detto.