Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, tre indizi sono una prova. Secondo la regola della Maestra del giallo si tratta solo di coincidenza. Eppure, la concomitanza tra il rinvio del phase-out dal carbone e l’esito dell’asta MACSE per l’assegnazione di batterie di accumulo di energia green lascia spazio a più di una semplice casualità.
Veniamo ai fatti. Proprio in questi giorni il Governo sta preparando il dossier per comunicare a Bruxelles che, in aderenza con gli impegni assunti nel 2017 e confermati nell’ultima versione del Piano integrato per l’energia e il clima, Pniec, verrà sospesa la generazione a carbone entro il 31 dicembre. Nel contempo chiede alla Commissione che le 4 centrali a carbone in Italia (Civitavecchia, Brindisi e due in Sardegna) siano mantenute operative seppure non in produzione. Si rinvia il loro smantellamento: le centrali termoelettriche a carbone vengono messe in stand-by considerandole infrastrutture strategiche per la sicurezza energetica nazionale nel caso di un imprevedibile evento geopolitico di interruzione di approvvigionamento di forniture di gas o strozzature nell’import di energia elettrica dalla Francia, Svizzera e in misura minore dalla Slovenia e Austria (17% dei consumi finali nei primi 6 mesi 2025). Non che questi impianti, per un totale di 4.650MW di potenza di cui mille in Sardegna, fossero determinanti nel mix elettrico nazionale.
Al netto delle centrali di Civitavecchia e Brindisi le quali nell’anno in corso non hanno immesso in rete neppure un megawatt, complessivamente generano meno dell’1% della domanda di elettricità. Tutta la generazione a carbone è concentrata in Sardegna. Ovviamente tenere questi impianti in stand-by, pronte ad accendersi in qualsiasi momento significa riconoscere delle compensazioni agli operatori. Tre sono di proprietà dell’Enel mentre una delle due in Sardegna quella a Fiumesanto appartiene a EP Produzione. Quindi invece di dover portare a bilancio l’oneroso costo dello smantellamento e bonifica dei siti rimandato ad esercizi futuri, affluiranno nelle casse del principale operatore elettrico nazionale le compensazioni per il mantenimento a riserva delle centrali a carbone.
La copertura arriverà dalle bollette. Mentre il governo deve trovare un accordo con Bruxelles affinché i territori interessati non siano esclusi dai meccanismi del Just Transition Funds previsti per la riconversione di regioni dipendenti da combustibili fossili. Altro capitolo. Pochi giorni fa alla prima asta per le batterie a supporto dell’integrazione di fonti rinnovabili non programmabile per garantire l’adeguatezza della rete elettrica, l’offerta è stata oltre 4 volte maggiore del fabbisogno richiesto (10GWh) e il prezzo medio ponderato di assegnazione meno della metà del massimo previsto dall’asta (circa13mila €/MWh-anno contro 37mila del premio). Risulta che il principale aggiudicatario sia l’Enel.
Oltre a evidenziare il forte interesse da parte del mercato come ha sottolineato Giuseppina Di Foggia, amministrato delegato di Terna, e scatenare entusiastiche dichiarazioni degli operatori per l’accelerazione di nuove procedure competitive (dovevano essere almeno 2 aste nel 2025 una per le batterie e una per i pompaggi) nell’ambito di accumuli, salvo respingerle per il rinnovo delle concessioni idroelettriche, qualcuno unisce i puntini. Potrebbe esistere un nesso sinallagmatico tra l’ottenimento di compensazioni per tenere a freddo le centrali a carbone e rimandare i costi di decommissioning e l’offerta ultra-competitiva di sistemi di batterie all’asta Macse? Da intendersi esclusivamente come una legittima ottimizzazione del beneficio aziendale.
